martedì 1 dicembre 2020

Lo scemo del villaggio. Il comizio













Oggi il paesino è in subbuglio. 

Pare sia stata organizzata una manifestazione, una marcia di protesta, forse un comizio. 

Non s’è capito bene, qui da noi tutte le informazioni vanno interpretate. 

Gigio il barista, ha raccolto qualche voce tra i clienti non abituali. Tutto quello che è riuscito a sapere, è che passeranno dal centro del paese, quindi dai tavolini del suo bar si godrà la vista dello spettacolo. 

Di recente ho adempiuto il mio dovere di rivestire il ruolo di scemo del villaggio, finito il turno cedo volentieri il posto al prossimo che si farà avanti, in una manifestazione volete che non si trovi un candidato? 

Dai tavolini del bar vedo passare la professoressa di matematica, Carla Rossetti, una donnina di un metro e cinquanta con un gran piglio e la sesta di reggiseno. Non per niente è chiamata Seno e Coseno da generazioni di studenti. Si narra che a inizio carriera, quando insegnava ancora alle elementari, fece la foto di classe sotto una leggera pioggerellina ma i due bambini davanti a lei restarono completamente asciutti. 

Seno e Coseno, anzi la professoressa Rossetti, si sta dirigendo verso il bar, dove viene al mattino a fare colazione. Si siede al tavolino, mi sorride e mi saluta con un cenno, tira fuori il Sudoku che finirà, come sempre, in tre minuti. 

La piazza comincia a essere affollata. Qualche giornalista, gli unici a indossare una cravatta, e molti indigeni. Vedo Braccobaldo ossia Baldo Antoniuzzi, il mio vicino informatico, che non perde mai occasione per fare vita sociale. Passa poco distante l’Agnese, con una voce che potrebbe crepare l’intonaco delle case, speriamo non le diano un megafono. C’è anche il Guido Pestalozzi, ex ragioniere e ora mescitore maledetto in bar malfamati. 



Su un monopattino elettrico, evidente elaborazione casalinga di un giocattolo, ora dotato di batteria e congegni a potenziare l’impianto frenante, arriva in piazza Forchetta, giovanissimo genio del bricolage. 

Seno e Coseno lo vede e, come faceva a scuola terrorizzando le povere vittime d’interrogazioni, alza l’indice e gli indica la sedia vuota di fronte a lei. Forchetta, pur consapevole di non trovarsi in classe, non può fare a meno di ingoiare a fatica la saliva e avvicinarsi a capo chino. 

L’espressione terrorizzata di Forchetta scompare quando la prof. Rossetti tira fuori dall’enorme borsa un tablet che il ragazzo in pochi secondi ha già aperto con la mano ferma di un neurochirurgo. 

Gigio esce a portare un secondo giro, con qualche tartina secca che solo lui si ostina a chiamare “aperitivo”, mi chiede: 

-Com’è la situazione? 

-Ma che ti aspetti, la marcia su Roma? Qui non sanno nemmeno che stanno facendo… 

Intanto qualcuno si aggiunge, saranno a occhio un centinaio di persone. 

Al centro della piazza è posto un piccolo rialzo di legno e posso notare che la mini folla si apre in due, come il mar Rosso, per far passare la personalità che salirà sul palco per arringare la gente. 

Il comiziante toglie la giacca e la cravatta e infila una felpa con una scritta che dal bar non riesco a leggere, gli mettono in mano il megafono ma questo non vuole saperne di funzionare, imbarazzo e smarrimento vibrano nella piazza, i più vicini a noi si girano verso Forchetta, certi che lui potrebbe riparare l’attrezzo ma la professoressa, con sguardo di ghiaccio, inchioda il ragazzo alla sedia. Che se la sbrighino tra loro, è il messaggio telepatico. 

Mi sfugge un sorriso. 

Allora il professionista della cosa pubblica inizia a viva voce un discorso, a memoria, che deve aver recitato in centinaia di piazze, la gente è uguale dappertutto e allora perché cambiare le frasi? Poi il politico è un cavallo di razza, sa cosa la gente vuole avere e lui gliela da, condendo il discorso con sputacchi di saliva, invettive, tono aggressivo/indignato contro i vari governi che stanno facendo né più né meno di quanto abbia già fatto lui con la connivenza del suo partito e degli altri, quando ha avuto l’opportunità di servire il paese. 

Al termine i quattro guardaspalle aprono un poderoso battimano che si fa via via più discreto appena capiscono di non essere stati convincenti sulla folla, che d’improvviso inizia a scemare. 

L’uomo politico scende dal palco scuro in volto, posto difficile, gente dura di comprendonio, starà pensando ma è ugualmente contento di avere presenziato, la statistica gli dice che una buona percentuale di voto la porterà anche chi, senza per forza avere capito qualcosa, è stato presente. 

Si avvicina al bar il signor Felice Beati, giungendo dal centro della piazza e subito ordino un aperitivo che Gigio gli porta, veloce come un Frecciarossa. 

-Allora? Chiedo più per cortesia che per vera curiosità. 

-Mah, a dire il vero non ho sentito cose nuove, un po’ di demagogia condita con spruzzate di populismo… ma la gente sembra contenta così e non ci sono stati problemi, insomma tutto bene! 

-Lei è un inguaribile ottimista. Gli rimando io ma so che ha ragione. 

-Tutto bene, nel senso che non ci sono stati incidenti. Interviene la prof. Rossetti, che prosegue. 

-Quello che cercano politici come questo, è la paura. Dove ce n’è poca la incrementano, dove abbonda la utilizzano come terreno fertile. La gente che ha paura è disposta a seguirti come un cane seguirebbe il profumo di polpette al sugo… io sul tutto bene avrei da dire. 

Detto questo infila nella borsa il tablet riparato da Forchetta, lo ringrazia, ci saluta e s’infila dentro il bar a pagare il conto. 

-Sa cosa le dico, signor Felice? Ha ragione lei, Per fortuna non ci sono stati problemi… 



Qua nel paese c’è da pensare a chi potrà fare lo scemo del villaggio, spazio per la paura ne rimane poco. 

Tutto bene. 

Beviamo il nostro aperitivo mentre la piazza si svuota. 

Peccato. 

Oggi avrebbe potuto vincere uno scemo del villaggio collettivo. 










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