sabato 1 febbraio 2020

Coro di voci











Dalla cucina al pian terreno giunge un borbottio, abbastanza forte da essere udito fin da quaggiù.

-Sono anni ormai che mi ritrovo a spentolare la stessa minestra, senza che succeda niente.

La voce è di una donna rancorosa e inacidita dall'attesa.

Mi arriva inaspettata e anche se è solo poco più di un sussurro, mi coglie impreparato.

Come un fantasma apparso dal nulla una seconda voce, questa volta più squillante, arriva dalle finestre della dirimpettaia, una certa Norma, no, Irma, Irma Pagani, così mi pare che si chiami, non me ne ricordo nemmeno più, ma a quanto pare lei si ricorda bene di me.

-Comodo fare lo scrittore della domenica, ma una volta che siamo in gioco, ci lascia al nostro destino, relegati nelle nostre stanze, ad aspettare che cosa? L’ispirazione, forse?

-Si, l’ispirazione… allora stiamo freschi. Questo non ha nessuna intenzione di mettersi al lavoro. Ha sempre una scusa, la verità è che noi non siamo tra le sue priorità.

Questo lo riconosco, è il tassista, quello del primo piano. Non posso lamentarmi se appare così violento, e nemmeno mi sorprende il tono aggressivo della sua voce, sono stato io a deciderlo.

La Pagani dal piano di sotto si sporge per guardare su e incalza:

-Quello non solo non ha l’ispirazione, non ha nemmeno voglia di riprendere in mano le nostre vite e di dare un seguito. Non siamo nessuno per lui…



Sono allibito.

Di più, sono sconcertato e spaventato. Mai più avrei potuto immaginare di meritare questo, mai più mi sarei aspettato tale insurrezione da persone, ma che dico, personaggi che non avevano parlato da anni.

Dal cortile dietro al condominio giungono suoni di calci a un pallone e schiamazzi di bambini. Loro almeno sanno come passare il tempo, sanno come divertirsi giocando una partita che dura almeno da cinque sei anni e che se dipendesse da me potrebbe durare per sempre.

-Ma non è colpa mia, ho un lavoro, una famiglia reale della quale occuparmi…

Il mio tentativo vano di discolparmi li fa infuriare.

-Anche io sono vera, anch'io ho diritto ad avere una vita! Vorrei poter muovermi, parlare, amare qualcuno, avere opportunità, vivere fallimenti, piangere e ridere… anch'io…

Lei non l’avevo dimenticata, Roberta Corino, la giovane moglie del tassista.

Bella di una bellezza ultraterrena, una meraviglia in mano a un rozzo ignorante. L’avevo messa in una posizione scomoda e lì l’avevo lasciata senza nessuna possibilità di riscatto.

Quanto mi sono sentito in colpa per quella ragazza, per quanto fosse anche lei solo un personaggio.

-Potrò anche essere solo un personaggio per te, ma non mi puoi lasciare in questo limbo, senza darmi una speranza, anche i personaggi hanno diritto a sperare.

Sono affranto, mi sento come deve sentirsi un pugile alle corde e non ho la minima idea di come uscirne.

Rimettermi a scrivere, rispolverando il vecchio file chissà da quale cartella, non è nei miei piani e so benissimo che, essendo nella mia testa, tutti loro l’hanno saputo non appena il pensiero è stato formato.

Potrei distrarmi, fare altre cose, dedicarmi ad altri progetti ma le voci di questa gente, cavolo, le loro voci, sono una cosa che non posso evitare di sentire.

-Cough, cough

La tosse è inconfondibile.

Questo è Pino, Pino La Terra. Il portinaio di sessantasei anni, il marito di Maria Buonocore detta sora Schiffer… non pensavo a lui da anni.

-La verità, esordisce la voce arrochita da mille grappini e mille sigari toscani, seppure virtuali, la verità è che non siamo che burattini. Lui muove i fili e noi camminiamo, lui batte sui tasti e noi parliamo, lui decide e noi moriamo… cosa dovrei dire io, che mi ha lasciato lì, con un dolore al petto e un sogno allucinato e da anni sento la sirena dell’ambulanza senza poter sapere se riuscirò a cavarmela o se dovrò morire e uscire dalla scena. Preferirei mille volte questa soluzione, che si sappia, una bella uscita onorevole, magari sporcando di sangue e vomito tutto il pronto soccorso dell’ospedale, che rimanere così, in bilico sul ciglio di un capitolo che non sarà mai completato!



Queste ultime parole mi hanno ferito.

Mi hanno scavato un buco nel cuore e ora capisco di avere una responsabilità, non posso lasciare quella gente nel limbo, chiusi dentro la loro prigione costituita da una cinquantina di pagine times new roman carattere dodici, spazi compresi, ho il dovere di dare loro delle risposte, di farli vivere o morire ma di terminare in qualche modo le loro esistenze.

Appena giunto a tale considerazione le voci si placano, piano piano il silenzio copre anche i rumori di fondo della partita di calcio e degli schiamazzi dei bambini nel cortile.

Il piccolo Giordano Tucci. Marco Rossi e la sua fame incontrollabile. I gemelli Carli. Jacopo Vatta, il figlio del dentista.

Non ho bisogno di rileggere, sono tutti li, che mi guardano in silenzio, che aspettano.

Forse meritano di più, meritano qualcuno che dia loro una vita.

Devo decidere. Devo trovare il tempo.



So in quale cartella è salvato il file word.

Devo mettere mano alla tastiera.











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