sabato 18 maggio 2019

Il viandante e la foresta









Immaginiamo.

Immaginiamo di essere in una grande sala per esempio una palestra o un salone da ballo col pavimento di legno e specchi e tendaggi alle pareti.

Immaginiamo di fare parte di un gruppo nutrito, venticinque o trenta persone.

Non siamo qui per danzare, non siamo in grado di farlo se non con buffi e goffi tentativi.



Immaginiamo che chi ci abbia guidato in questo luogo ci dia istruzioni precise e immaginiamo di seguirle.

Ci disponiamo nella sala in modo da riempire ogni spazio, da essere tutti né troppo vicini né troppo lontani dalle altre persone.

Volendo, senza staccare i piedi dal suolo, solo allungando le braccia e spostando o ruotando il tronco, si riesce a sfiorare la mano delle persone che si sono messe davanti, dietro, ai nostri lati.



Immaginiamo di essere alberi.

Ecco cosa siamo. Alberi di una foresta umana, persone i cui piedi sono radici inamovibili, ben piantate nel terreno e le cui braccia sono rami che possono spostarsi spinti dal vento della volontà.



Immaginiamo che a lato di questa foresta ci sia un viandante.

L'uomo, che deve attraversare il salone, scusate la foresta, è cieco, infatti, mantiene gli occhi chiusi, a simulare tale condizione.

Chiunque capisce che un cieco potrà attraversare una foresta, che sia costituita da alberi dal tronco ligneo oppure da persone, solo se aiutato dagli altri sensi, ma sappiamo anche che chi si finga cieco non ha sviluppato questi sensi.



Non resta agli alberi altra possibilità che allungare rami/braccia verso il viandante cieco e guidarlo così nella sua traversata.

Ecco che i rami iniziano a muoversi, dapprima dolcemente, poi frenetici nel tentativo di non abbandonare il viandante e lasciarlo vagare solo nella sua oscurità.

I tronchi si piegano in avanti, i rami si tendono quasi a spezzarsi, gli alberi assumono posture impossibili per ogni albero che non sia un poco umano ma ogni angolo del salone, anzi della foresta, è saturo di movimenti materni, protettivi e avvolgenti.

Mani si sfiorano, si riconoscono, dita si stringono e polsi ruotano a guidare la direzione e il cammino del cieco viaggiatore.

Il viandante è condotto da una volontà collettiva, che supera ogni interesse individuale da parte degli alberi che, come tali, altri interessi non hanno se non quello di nutrirsi con l’acqua che piove dal cielo e che penetra la terra, assorbire i raggi del sole che riscalda e nutre le foglie con la sua luce e proteggere i viandanti che si trovino a passare attraverso la foresta.


Ora immaginiamo per un momento di essere il viandante.

Muoviamo il primo passo, incerti, a occhi chiusi e tendendo una mano davanti al nostro viso.

Apriamo il palmo, come chi chieda una moneta per mangiare ma ciò che chiediamo noi è di sentire l’altro che ci afferri, che ci faccia avvertire la presenza e che ci faccia capire che non siamo soli nonostante le tenebre.

Poco per volta le nostre mani diventano i nostri occhi, lasciamo una presa solo quando un’altra mano accorre incontro e in questo modo siamo sempre in contatto con qualcuno e possiamo lasciarci andare, come un bambino si lascia cullare dalla mamma e senza un pensiero si addormenta, come una bambina si lascia spingere sull’altalena dal proprio papà ridendo felice.

Così il viandante, che stiamo impersonando, vaga felice in questa foresta buia, libero da pesi e responsabilità, senza paure e dubbi perché sa che gli alberi lo proteggeranno e lo guideranno e le persone che stanno giocando attorno a lui si prenderanno cura della sua persona.


Il buio scompare lasciando il posto a una pioggia di scintille chiare, una lenta nevicata di fiocchi bianchi e qualsiasi altra cosa il viandante voglia immaginare perché libero dal dovere di prestare attenzione al percorso.

La foresta è una casa calda e accogliente e il viandante ci sta bene come un bimbo nella sua culla.



Immaginiamo.

Immaginiamo di poterlo fare ogni volta che se ne ha voglia.

Poi il gioco finisce e tutti si sentono bene.




















Nessun commento:

Posta un commento