domenica 20 gennaio 2019

La contessina







La contessina Maria Elena Righini di Pianosa è sempre una donna incantevole.
Una donna vestita con gusto, pettinata con cura, profumata e dalle maniere gentili e garbate, abituate da una vita nobile.

Dall’alto dei suoi novantasette anni, osserva tutto e tutti, senza scomporsi. Ha sempre una parola cordiale e un sorriso dolce per chi le passa accanto in casa, persino per il gatto.
Non che per lei faccia la minima differenza.

Oltre a una villa ottocentesca stimata tre milioni e mezzo di euro, una collezione di quadri pregiati e di libri rari che farebbe impazzire di gioia collezionisti in ogni angolo del pianeta, un paio di auto d’epoca chiuse in garage e svariati, preziosi gioielli, la sua demenza è l’unica cosa importante che le resti.
La contessina non ha il minimo ricordo della sua vita passata né possiede la minima connessione con la realtà.
I suoi giorni si ripetono, uguali l’uno all’altro, fatti di riti, come quello di prepararsi per la colazione, di cambiarsi per la cena, farsi asciugare il naso, farsi lavare e così di questo passo.
I suoi unici parenti, il figlio terzogenito di un suo fratellastro, dedito al gioco d’azzardo e prematuramente scomparso, e una giovane cugina di quest’ultimo, con la necessaria collaborazione di un amministratore ottuagenario, canuto e severissimo, fanno in modo che le tre badanti la tengano in modo impeccabile.

Le badanti sono un tasto dolente.
I due nipoti, che a quanto è trapelato, non hanno altre occupazioni ufficiali e vivono, a scrocco, abitando in due delle varie stanze a disposizione, fanno una gran fatica a governare il personale di servizio, e l’amministratore, che è l’unico al momento a poter disporre del patrimonio della contessina e a firmare gli assegni degli stipendi e delle spese di casa, non rende le cose semplici.

Almeno tre, le donne che si alternano alla sorveglianza e alla cura della contessina, per dare modo a queste di riposare a turno e di avere ferie e altre cose simili.
Ogni tanto le donne sono sostituite, perché troppo logorate da un lavoro che richiede di certo attitudine se non vocazione, ma più spesso perché non ritenute idonee al ruolo.

Qualche anno prima la badante diurna, una donna cinquantenne, austera, energica e affidabile fino a quel momento, aveva sviscerato un amore per la collezione di Capodimonte della contessina, ne spolverava continuamente i pezzi, li ammirava e ogni tanto, ne sottraeva uno dalla vetrina. Si era accorta di qualcosa la nipote che, avendo la passione per la matematica, contava periodicamente i pezzi.
Così come contava l’argenteria, i quadri alle pareti e i giorni che la separavano dal godere di quell’enorme ricchezza.
La giovane aveva informato il cugino e senza dire niente all’amministratore erano andati a casa della donna che aveva confessato tutto, piangendo. I quattro pezzi della collezione erano stati riposizionati nella vetrina e la badante aveva dato le dimissioni senza fiatare, grata per la denuncia che le era stata risparmiata.

Trovare una sostituta non era stato facile. Ci aveva pensato l'amministratore grazie all’aiuto di un'agenzia specializzata e i due avidi parenti si erano dovuti rassegnare, rinunciando all'idea di proporre persone di loro fiducia.
Sempre all'insaputa dell'amministratore, i nipoti avevano acquistato un metal detector e periodicamente passavano in rassegna tasche, cappotti e borse delle badanti e della donna delle pulizie col pretesto di fantomatici smarrimenti di orecchini o fermagli, sottoponendo le donne a umiliazioni immeritate.

A dire la verità, la contessina Maria Elena spesso dimenticava in posti improbabili i suoi orecchini o i preziosi monili che amava indossare ma questi erano presto ritrovati e niente entrava o usciva dalla magione che i nipoti ne ignorassero l'esistenza.

Da qualche tempo Irina, la badante più giovane, aveva espresso la preferenza a fare il turno di notte. Era senza dubbio il più pesante e le due collaboratrici non avevano certo sollevato obiezioni.
La scelta aveva dapprima insospettito i nipoti della contessina, sempre alla ricerca del losco in ogni cosa, ma alla fine nessuno si era opposto a quest’organizzazione del lavoro.
Di notte la contessina andava sorvegliata, occorreva portarle l’acqua e bisognava cambiare il pannolino perché, ahimè, di recente era comparsa una sgradevole incontinenza e l’intestino della donna aveva preso l’abitudine a vuotarsi nelle ore notturne.
Irina non era schizzinosa, sopportava l’odore pestilenziale, urina e feci facevano parte della vita, per lei era come cambiare un bebè. Lavorare di notte alla villa le permetteva di seguire suo figlio di giorno, accompagnarlo di mattina a scuola e dopo essersi riposata, seguirlo al pomeriggio con i compiti.
E poi l’odore degli escrementi era sempre meglio che sopportare di giorno la presenza dei nipoti della contessa.

Il nipote della contessina non sopportava Irina, anzi la detestava, provava un’avversione per le persone dell’est ed era sicuro che quella russa avrebbe portato guai.

La contessina andava sorvegliata ai pasti perché la sua demenza l’aveva trasformata in uno struzzo. Inghiottiva, senza pensarci due volte, qualsiasi oggetto lasciato a portata di mano. Una sera aveva mandato giù un bottone della camicia, del diametro di due centimetri. Irina si era spaventata ed era corsa dal nipote ma questi l’aveva presa in giro dicendo: 
-Tutto quello che entra, prima o poi deve uscire… Aveva riso ed era tornato nella sua stanza.

Irina non ci aveva dormito e aveva voluto controllare i giorni successivi il pitale della contessina. Tuttavia il nipote aveva ragione e il parto si era verificato puntuale due notti dopo.

Ultimamente le cose per il personale erano peggiorate. Innervositi dalle ottime condizioni di salute della contessina, i due nipoti si erano incattiviti, litigavano tra loro tutto il tempo e sfogavano il loro astio col personale.
A peggiorare le cose, la scomparsa di un anello che la contessina si ostinava a indossare.
Non un anello qualunque. 
L’anello di diamanti.
Un incantevole oggetto d’oro bianco, dalla pietra purissima di tre carati e dal taglio perfetto, un diamante naturale bianco Extra Superiore, certificato e valutato tra i novantamila e i centoventimila euro.
Erano impazziti tutti. La villa era stata messa a soqquadro e nessuno usciva senza passare sotto ripetuti controlli col metal detector. 
Niente da fare, l’anello era sparito.

Le badanti erano quelle trattate peggio, i nipoti sospettavano di tutti e l’unico a non essere controllato era stato l’amministratore.
Irina si era stancata di quella vita, non valeva la pena subire sempre, sentirsi guardare come una sospettata, una poco di buono, aveva ascoltato l’ultima scenataccia con le mani strette in pugni sotto il grembiule e aveva deciso che sarebbe stata l’ultima volta.

Ma Irina aveva un segreto.

Aveva finito per dare gli otto giorni di preavviso, per il licenziamento.
Il nipote della contessina le aveva ordinato di terminare la settimana col turno di notte e ogni mattina la controllava personalmente, vestiti, tasche, borsetta, niente era tralasciato. 
Il metal detector non suonò mai.

Come ultimo spregio, la incaricò di occuparsi dell’immondizia. Irina avrebbe dovuto portare fuori i sacchetti con i pannolini sporchi della contessa.
Così lei fece.

Ogni mattina, finito il massacrante turno, in cui aveva personalmente ripulito il fondoschiena della contessina, Irina richiudeva il pannolino, lo riponeva in un sacchetto a prova di odore e dopo essere stata minuziosamente controllata dal nipote, uscendo, portava il rifiuto nel bidone al fondo della strada.

La settimana finì. L’anello non fu mai trovato.


La contessa è sempre una donna incantevole.
Per lei le cose sembrano non cambiare mai.
I nipoti fecero storie e riuscirono a non pagare a Irina la liquidazione che le spettava.
Ma lei non se la prese.
Dopo tutto, quello che entra prima o poi deve uscire, no?

Nessuno lo fece ma se avessero controllato il bidone dell’immondizia in fondo alla strada, i due avidi e disonesti nipoti, non ci avrebbero trovato nessun pannolino sporco…









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