La contessina Maria
Elena Righini di Pianosa è sempre una donna incantevole.
Una donna vestita con
gusto, pettinata con cura, profumata e dalle maniere gentili e garbate, abituate
da una vita nobile.
Dall’alto dei suoi
novantasette anni, osserva tutto e tutti, senza scomporsi. Ha sempre una parola
cordiale e un sorriso dolce per chi le passa accanto in casa, persino per il
gatto.
Non che per lei faccia
la minima differenza.
Oltre a una villa
ottocentesca stimata tre milioni e mezzo di euro, una collezione di quadri
pregiati e di libri rari che farebbe impazzire di gioia collezionisti in ogni
angolo del pianeta, un paio di auto d’epoca chiuse in garage e svariati,
preziosi gioielli, la sua demenza è l’unica cosa importante che le resti.
La contessina non ha il
minimo ricordo della sua vita passata né possiede la minima connessione con la
realtà.
I suoi giorni si
ripetono, uguali l’uno all’altro, fatti di riti, come quello di prepararsi per
la colazione, di cambiarsi per la cena, farsi asciugare il naso, farsi lavare e
così di questo passo.
I suoi unici parenti,
il figlio terzogenito di un suo fratellastro, dedito al gioco d’azzardo e prematuramente
scomparso, e una giovane cugina di quest’ultimo, con la necessaria
collaborazione di un amministratore ottuagenario, canuto e severissimo, fanno
in modo che le tre badanti la tengano in modo impeccabile.
Le badanti sono un
tasto dolente.
I due nipoti, che a
quanto è trapelato, non hanno altre occupazioni ufficiali e vivono, a scrocco, abitando
in due delle varie stanze a disposizione, fanno una gran fatica a governare il
personale di servizio, e l’amministratore, che è l’unico al momento a poter
disporre del patrimonio della contessina e a firmare gli assegni degli stipendi
e delle spese di casa, non rende le cose semplici.
Almeno tre, le donne
che si alternano alla sorveglianza e alla cura della contessina, per dare modo
a queste di riposare a turno e di avere ferie e altre cose simili.
Ogni tanto le donne sono
sostituite, perché troppo logorate da un lavoro che richiede di certo
attitudine se non vocazione, ma più spesso perché non ritenute idonee al ruolo.
Qualche anno prima la
badante diurna, una donna cinquantenne, austera, energica e affidabile fino a
quel momento, aveva sviscerato un amore per la collezione di Capodimonte della
contessina, ne spolverava continuamente i pezzi, li ammirava e ogni tanto, ne
sottraeva uno dalla vetrina. Si era accorta di qualcosa la nipote che, avendo
la passione per la matematica, contava periodicamente i pezzi.
Così come contava
l’argenteria, i quadri alle pareti e i giorni che la separavano dal godere di quell’enorme
ricchezza.
La giovane aveva
informato il cugino e senza dire niente all’amministratore erano andati a casa
della donna che aveva confessato tutto, piangendo. I quattro pezzi della
collezione erano stati riposizionati nella vetrina e la badante aveva dato le
dimissioni senza fiatare, grata per la denuncia che le era stata risparmiata.
Trovare una sostituta
non era stato facile. Ci aveva pensato l'amministratore grazie all’aiuto di
un'agenzia specializzata e i due avidi parenti si erano dovuti rassegnare,
rinunciando all'idea di proporre persone di loro fiducia.
Sempre all'insaputa
dell'amministratore, i nipoti avevano acquistato un metal detector e
periodicamente passavano in rassegna tasche, cappotti e borse delle badanti e
della donna delle pulizie col pretesto di fantomatici smarrimenti di orecchini
o fermagli, sottoponendo le donne a umiliazioni immeritate.
A dire la verità, la
contessina Maria Elena spesso dimenticava in posti improbabili i suoi orecchini
o i preziosi monili che amava indossare ma questi erano presto ritrovati e
niente entrava o usciva dalla magione che i nipoti ne ignorassero l'esistenza.
Da qualche tempo Irina,
la badante più giovane, aveva espresso la preferenza a fare il turno di notte.
Era senza dubbio il più pesante e le due collaboratrici non avevano certo
sollevato obiezioni.
La scelta aveva
dapprima insospettito i nipoti della contessina, sempre alla ricerca del losco
in ogni cosa, ma alla fine nessuno si era opposto a quest’organizzazione del
lavoro.
Di notte la contessina
andava sorvegliata, occorreva portarle l’acqua e bisognava cambiare il
pannolino perché, ahimè, di recente era comparsa una sgradevole incontinenza e
l’intestino della donna aveva preso l’abitudine a vuotarsi nelle ore notturne.
Irina non era
schizzinosa, sopportava l’odore pestilenziale, urina e feci facevano parte
della vita, per lei era come cambiare un bebè. Lavorare di notte alla villa le
permetteva di seguire suo figlio di giorno, accompagnarlo di mattina a scuola e
dopo essersi riposata, seguirlo al pomeriggio con i compiti.
E poi l’odore degli
escrementi era sempre meglio che sopportare di giorno la presenza dei nipoti
della contessa.
Il nipote della
contessina non sopportava Irina, anzi la detestava, provava un’avversione per
le persone dell’est ed era sicuro che quella russa avrebbe portato guai.
La contessina andava
sorvegliata ai pasti perché la sua demenza l’aveva trasformata in uno struzzo.
Inghiottiva, senza pensarci due volte, qualsiasi oggetto lasciato a portata di
mano. Una sera aveva mandato giù un bottone della camicia, del diametro di due
centimetri. Irina si era spaventata ed era corsa dal nipote ma questi l’aveva
presa in giro dicendo:
-Tutto quello che entra, prima o poi deve uscire… Aveva
riso ed era tornato nella sua stanza.
Irina non ci aveva
dormito e aveva voluto controllare i giorni successivi il pitale della
contessina. Tuttavia il nipote aveva ragione e il parto si era verificato
puntuale due notti dopo.
Ultimamente le cose per
il personale erano peggiorate. Innervositi dalle ottime condizioni di salute
della contessina, i due nipoti si erano incattiviti, litigavano tra loro tutto
il tempo e sfogavano il loro astio col personale.
A peggiorare le cose,
la scomparsa di un anello che la contessina si ostinava a indossare.
Non un anello qualunque.
L’anello di diamanti.
Un incantevole oggetto
d’oro bianco, dalla pietra purissima di tre carati e dal taglio perfetto, un
diamante naturale bianco Extra Superiore, certificato e valutato tra i
novantamila e i centoventimila euro.
Erano impazziti tutti.
La villa era stata messa a soqquadro e nessuno usciva senza passare sotto
ripetuti controlli col metal detector.
Niente da fare, l’anello era sparito.
Le badanti erano quelle
trattate peggio, i nipoti sospettavano di tutti e l’unico a non essere
controllato era stato l’amministratore.
Irina si era stancata
di quella vita, non valeva la pena subire sempre, sentirsi guardare come una
sospettata, una poco di buono, aveva ascoltato l’ultima scenataccia con le mani
strette in pugni sotto il grembiule e aveva deciso che sarebbe stata l’ultima
volta.
Ma Irina aveva un
segreto.
Aveva finito per dare
gli otto giorni di preavviso, per il licenziamento.
Il nipote della
contessina le aveva ordinato di terminare la settimana col turno di notte e
ogni mattina la controllava personalmente, vestiti, tasche, borsetta, niente
era tralasciato.
Il metal detector non suonò mai.
Come ultimo spregio, la
incaricò di occuparsi dell’immondizia. Irina avrebbe dovuto portare fuori i
sacchetti con i pannolini sporchi della contessa.
Così lei fece.
Ogni mattina, finito il
massacrante turno, in cui aveva personalmente ripulito il fondoschiena della
contessina, Irina richiudeva il pannolino, lo riponeva in un sacchetto a prova
di odore e dopo essere stata minuziosamente controllata dal nipote, uscendo,
portava il rifiuto nel bidone al fondo della strada.
La settimana finì. L’anello
non fu mai trovato.
La contessa è sempre
una donna incantevole.
Per lei le cose sembrano
non cambiare mai.
I nipoti fecero storie
e riuscirono a non pagare a Irina la liquidazione che le spettava.
Ma lei non se la prese.
Dopo tutto, quello che
entra prima o poi deve uscire, no?
Nessuno lo fece ma se
avessero controllato il bidone dell’immondizia in fondo alla strada, i due
avidi e disonesti nipoti, non ci avrebbero trovato nessun pannolino sporco…
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