sabato 5 gennaio 2019

Come una famiglia








Giacomo è un giovane e brillante trentenne, alle dipendenze di una finanziaria multinazionale, con molte sedi in Italia e in Europa. 

Single per scelta più altrui che propria, come spesso ripete agli amici, vive in un bell’appartamentino alla periferia di Milano. 

Quando gli proposero un progetto di sviluppo che prevedeva la partecipazione a un lungo corso di perfezionamento presso la sede di Napoli, ebbe l'impulso di rifiutare. Per fortuna non lo seguì, quello che voleva era fare carriera e non poteva permettersi troppi no come risposta. 

Per lui, lombardo di nascita e mai uscito da casa, se non per qualche breve vacanza all'estero, quella trasferta prolungata sarebbe stata un grosso sacrificio ma Giacomo sapeva che la sua azienda avrebbe ricordato. 

Si rivolse a Giorgio, il suo collega e vicino di scrivania che si vantava di essere un gran viaggiatore e di avere parenti in ogni angolo del mondo. 

La durata della trasferta sarebbe stata di tre settimane e il collega si rivelò all'altezza del compito richiesto. 

Giacomo avrebbe potuto contare su una camera singola, con un ingresso autonomo da un ballatoio e un piccolo bagno in comune con l'alloggio di una lontana parente di Giorgio, un'anziana prozia che di solito ospitava studenti universitari che arrivavano da altre città. Ultimamente anche per la cultura erano tempi di crisi e la camera era libera. 

Quando fu il momento, Giacomo preparò bagaglio e documenti, spinse nel borsone un tascabile di Donato Carrisi che non aveva ancora letto e prese il treno. 

Il fascino della città lo colpì d'improvviso, buono come il profumo del ragù di nonna e caldo come una sciarpa fatta a mano da una persona che ti ama. Finite le ore di studio e lavoro, Giacomo non si stancava di camminare per ore, gustando i particolari barocchi dei palazzi, il colore nitido del cielo al crepuscolo e i profumi che uscivano dalle finestre nelle viuzze. Il panorama era la cosa più bella che avesse visto e si sentiva privilegiato di poterne godere tutte le sere. 

La padrona di casa, la famigerata zia del collega, era un donnone estroso e sgradevole, sempre accigliato e che lo trattava con viscida e falsa cortesia. La donna era costretta sulla sedia a rotelle, urlava contro di tutti e puzzava un poco. 

Giacomo le pagò tutto il periodo in anticipo con una molle e sudata stretta di mano come contratto e un sorriso guasto come ricevuta. 

Una donna proprio sgradevole. 

Giacomo vide che c'era una bambina in casa, una dolcissima creatura di due o tre anni ma non capì subito chi fosse la madre. 



Durante la prima settimana, la bimba lo avvicinò con la cautela tipica dei bimbi e dei gatti che vogliono studiare e conoscere qualcuno, poi prese a salutarlo con la manina e con grandi sorrisi quando rientrava alla sera. Giacomo non era abituato ai bambini e quell'esperienza gli piacque. 

La matrona gridava qualcosa in un dialetto strettissimo e incomprensibile e la bimba ubbidiente rientrava. 

Giacomo si chiese presto di chi fosse quella bimba che lo aspettava la sera con commovente calore. 

Poi un giorno lo scoprì. 



Con tutti gli altri colleghi, avevano deciso di prendersi un mattino libero e Giacomo aveva programmato di visitare il porto. 

Si alzò mezz'ora più tardi del solito e si rase. Mise il tascabile nello zaino, era arrivato a metà e non vedeva l'ora di riprendere la lettura. Prese le scale e per poco non andò a sbattere contro una donna con la figlia in braccio. 

Era la bimba che lui conosceva, ma era ancora addormentata. La donna si scusò con gli occhi bassi e gli passò oltre. Lui la vide di sfuggita e fu come un lampo improvviso che rischiara la notte. 

Restò lì come un ebete a fissare la sua nuca, una massa d’indiavolati capelli scuri che si allontanava. 



Durante tutta la seconda settimana partenopea, Giacomo non perse occasione per incrociare quella donna, tardava l'uscita apposta (e per tre mattine la cosa funzionò), ciondolava, perdendo tempo per le scale oppure usciva quando sentiva il pesante portone di legno sbattere. Ogni volta lei sussurrava un timido “buonasera” e lo lasciava sul ballatoio incapace di ogni piccola mossa. 

La “zia” si accorse dello strano comportamento del giovane e ci mise poco a mangiare la foglia. Giacomo non capiva il dialetto ma ci rimase male quando la vide maltrattare la giovane madre che subì come sempre e si ritirò in casa con la bimba in braccio. 



Per Giacomo terminare il corso di formazione fu una pena. 

Tutto era cambiato per lui, non aveva interesse allo studio, sfogliava distratto il romanzo senza capirne più una sola riga, non riuscì più a sentire gli odori né a vedere i colori di quella città magica. 

Tutto quello che sperava, era incontrare la giovane donna e riuscire a parlarci, strappare un sorriso. 

Una sera Giacomo, contrariamente a quanto si era promesso, chiamò il collega Giorgio. 

Da lui seppe che Angela non era la figlia del donnone ma ne aveva sposato il figlio qualche anno prima. Il marito era un poco di buono e usava la sua barca per contrabbandare droga via mare. Era stato ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia e la suocera le aveva “magnanimamente” concesso di restare a vivere con loro. Una grande famiglia allargata. Il collega aveva anche raccontato a Giacomo che lei non era stata più la stessa, si era rinchiusa in quelle poche stanze e faticava anche a provvedere alla bimba. 

Giacomo avendo visto con i propri occhi quali erano i rapporti di forza in quel cortile, pensava di saperne molto più di Giorgio stesso. 

Un mattino della terza settimana Giacomo non andò in ufficio. Uscì dal portone e attese. Angela scese le scale, recuperò il passeggino sotto il portone, sistemò sua figlia e uscì. 

Angela si diresse al mercato coperto, Giacomo non fu stupito poiché lei usciva solo per le commissioni di casa. La seguì con l'intenzione di palesarsi e fare due chiacchiere. Non aveva certo intenzione di spaventarla o di giocare all'agente segreto. 

Si stava avvicinando alla donna quando alcuni ragazzini avendo percepito che si trattava di un “estraneo” lo avevano circondato, cercando di vendergli qualsiasi cosa, da una confezione di fazzoletti a un iPhone. 

Fece appena in tempo a vedere la bimba che sganciava la sicura del passeggino e scendeva per correre verso la strada trafficata. 

Lui la chiamò e la prese delicatamente in braccio per porgerla alla mamma. Lei comprese tutto prima di aprire bocca e nello stesso istante comprese anche quello che gli occhi di Giacomo le stavano comunicando. 



Scesero al porto. Sedettero a un tavolino e parlarono a lungo. 

Lei era incantevole. Giacomo si perse nel suo viso, percorse le rughe, ne comprese il dolore. Continuò a osservare, contò i pori, misurò le ciglia e cascò negli occhi e si smarrì nella bellezza. 

Ma la più grande meraviglia lo avvolse quando capì che anche lei non era indifferente, che anche lei lo aveva osservato, anche lei aveva studiato i suoi movimenti. E sapeva che la bambina aveva fatto altrettanto. 



Il penultimo giorno della formazione per Giacomo fu una tortura. 

Si era fatto dare il numero da Angela con la promessa di non chiamare e di utilizzare solo i messaggi. 

La zia smise di essere gentile e gli rivolse un'occhiata omicida. 

Lui passò un’inutile giornata in ufficio e quando rientrò, la bimba lo salutò con la manina subito richiamata dentro dalla voce inacidita della nonna. 

Giacomo aspettò sul balcone per mezz’ora poi entrò in camera a preparare i bagagli. 

Ficcò tutto in valigia senza attenzione. 

Non aveva voglia di partire, andare via perché, andare dove senza Angela, no, non aveva intenzione di andare da nessuna parte senza di lei. 

Chiuse la valigia e si preparò ad attendere. 



E lei arrivò. 

Bussò alla sua porta a mezzanotte. Arrivò come una ladra nella notte. Arrivò come un regalo desiderato. Arrivò come la nuova vita attesa. Arrivò come un rinnovamento. Lui la fece entrare e sfiorò la sua bocca con labbra leggere. 

Lei era spaventata, eccitata, felice. Atterrita ma decisa. 

Gli chiese di essere pronto a uscire per le sei e di raccogliere le sue cose in silenzio. 

Sarebbe partito con un giorno d'anticipo. Sarebbe partito con lei. 

Provò ad accennargli della figlia, provò a chiedere se si sarebbe sentito di avere una bimba in casa ma lui le chiuse la bocca con gentilezza. 

Le disse: “Vai ora, prepara le cose che ti servono e fai piano.” 

Lei rispose che la donna prendeva tutte le sere un potente sonnifero e che non la svegliavano nemmeno le cannonate ma che avrebbe fatto piano in ogni caso. 



All’ora stabilita due ombre prudenti, uscirono dal portone. 

La donna aveva una bimba addormentata in braccio, l’uomo portava due borse. 



La stazione era vicina, avrebbero preso il primo treno. 

Giacomo mise una borsa a tracolla e prese la sua mano. Tremava un poco. 

Avevano davanti una stazione ferroviaria. Un viaggio. Una vita. 

Giacomo voleva viverla con Angela e sapeva che lei voleva altrettanto. 

Salirono sul treno, si sistemarono nei loro posti e lei si appoggiò sulla spalla di lui con la bambina ancora addormentata, in braccio. 

Poi chiuse gli occhi. 

Torniamo a casa, pensò Giacomo. 

Come una famiglia.










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