sabato 15 febbraio 2025

A passo lento

 






-Cos’hai oggi? Mi sembri giù di corda.

Iacopo guarda l’amico attraverso il calice di Spritz e ghiaccio e si diverte un poco a vederlo colorato di arancio. Anche di quel colore all’amico non sfugge niente, pensa.

-Hai finito di osservare il mondo attraverso il bicchiere e mi racconti cosa non va?

Iacopo apprezza i modi sbrigativi dell’amico, lui non è mai riuscito a essere così diretto, così incisivo. Lui è uno che la prende larga, che riflette. È sempre stato quello che pesa le parole, che predilige la diplomazia. Ha bisogno di qualcuno che ogni tanto gli dia una pungolata e non stia troppo a tergiversare.

-Solite cose, problemi di lavoro…

-Iacopo finiscila, i problemi di lavoro non esistono!

-Che cosa stai dicendo Willies! Non è così bravo Iacopo a recitare la parte del fratellino Arnold nella famosa sit-com americana ma ci prova ugualmente.

-Semplice, dico che sul lavoro si cercano le soluzioni. Quando queste si trovano, il problema scompare. Quando non si trovano, si continua a lavorare su ipotesi risolutive finché non è dimostrato che la soluzione non esiste e allora si passa a qualcos’altro e quel problema scompare.

-Mi sembra molto orientale la tua filosofia…

L’amico ignora Iacopo e continua.

-L’unico problema che esiste nelle organizzazioni lavorative è quello che nasce dalle relazioni umane, dai rapporti tra le persone. Invidie, gelosie, comunicazioni distorte o ambigue, leader ufficiosi, capi inadeguati, dispetti puerili, relazioni sentimentali, molestie e altre amenità del genere.

-Mi sembra che tu stia semplificando troppo…

-Certo, mica abbiamo tutto il giorno, dopotutto ho quasi finito il mio Spritz, quindi o ne ordiniamo un secondo o la discussione termina qua.

Compare dal nulla il cameriere e ordinano il secondo giro.

I due giovani gustano e sorseggiano in un silenzio che parla di approvazione. Forse una gradazione alcolica eccessiva ma nessuno dei due si lamenta.

Iacopo si sforza di spiegare.

-Mi sembra che si vada a diverse velocità. Ho la sensazione, anzi la certezza, che si siano formati sottogruppi che non comunicano tra loro e che questo generi contrasti interni.

Iacopo guarda l’amico finché questo non si decide a parlare.

-Non crederai davvero di poter risolvere da solo tutti i problemi di un’organizzazione? Fammi il piacere, finisci il tuo aperitivo e non ci pensare. Sarebbe più facile travasare il mar Ligure nel bacino Adriatico usando un bicchierino di carta!

-Tu quindi, come la vedi?

-Hai presente i gruppi di cammino?

-Noi siamo andati tante volte a camminare off road…

-No, Iacopo, stammi a sentire. I gruppi di cammino sono un'altra cosa, deve esserci un leader aiutato almeno da altri due facilitatori. Il leader si mette in testa e tiene il passo adeguandolo a quelli più allenati e veloci, il secondo sta nel mezzo a controllare il passo di chi segue e il terzo chiude il gruppo prestando attenzione che non si perda nessuno lungo il cammino...

Iacopo sembra perplesso.

-Questo però non impedisce al gruppo di disgregarsi e frammentarsi.

-Vedi Iacopo, il leader deve tenere presente due cose. Per primo: che chi resta nel gruppo di mezzo non si senta secondo e meno importante di quelli che guidano e sono più veloci e resistenti e che quelli nel gruppetto di coda non si sentano mai abbandonati. Secondo: è fondamentale che tutti conoscano in anticipo il percorso che si vuole fare e la meta da raggiungere, in questo modo nessuno ha bisogno di vedere chi è davanti per trovare la strada. Inoltre ha dietro un facilitatore che lo incoraggia a proseguire fino all’arrivo andando alla sua velocità che, anche se è lenta, per qualsiasi ragione, è quanto di meglio possa fare.

Iacopo guarda l’amico come se lo vedesse per la prima volta.

-Mi stai dicendo che non è un problema se si va avanti a diverse velocità?

-No ma solo se tutti sanno bene e hanno condiviso dove si sta andando. E per di più, a mano a mano che il gruppo cammina assieme, quelli che sono più veloci e che in un primo momento tendevano a voler primeggiare, finiscono per senso di responsabilità, ad aiutare chi va più lentamente.

Iacopo ora sorride, mentre continua a osservare il cielo arancione dietro il vetro del proprio bicchiere.

-A cosa pensi ora, Iacopo?

- Che forse hai ragione, non c’è niente di male a procedere ognuno alla velocità che si vuole quando è chiara la meta.

Finiscono l’ultimo sorso.

-E ora, cosa pensi di fare?

-Penso che continuerò a procedere come ho sempre fatto, a passo lento e misurato.

I due si salutano, si alzano e lasciano le loro sedie e Iacopo si dirige verso casa.

Come sempre.

A passo lento.





sabato 1 febbraio 2025

La mia armonica

 





Ho un’armonica a bocca ma non la suono mai.

Prende polvere nel cassetto, sotto le calze e quando lo apro, faccio finta di non vederla.

Credo sia in tonalità di DO ma non ne sono sicuro. Quello di cui sono sicuro è che la suonerei tutte le sere, se vivessi in un altro dove e in un altro quando.

E mi piacerebbe, quanto mi piacerebbe.

Me ne starei seduto sul porticato di legno davanti casa, a godermi il fresco e a guardare la luce del giorno che lenta lascia spazio al nero della notte, passando per tutte le tonalità dell’arancione, del viola e del blu.

Farei risuonare la voce aspra dell’armonica e farei abbaiare i cani dei vicini.

Guarderei la polvere della giornata, depositarsi lenta sulla strada e sui cespugli. Farei cigolare la sedia a dondolo per interrompere quello scricchiolio e il suono dell’armonica solo per sorseggiare il rum contenuto nel bicchiere scheggiato poggiato sul pavimento.

Lo so, è la classica visione romantica dei primi coloni nei territori del west, che tanti film ci hanno proposto ma che ci volete fare, Sergio Leone impera nell’inconscio collettivo e non solo lì.

La mia armonica.

Vorrei averla se vivessi nel diciannovesimo secolo in una cittadina fondata dove prima c’erano solo prateria e bisonti e rapaci arrivati dalle vicine montagne in cerca di cibo.

Naturalmente vorrei anche avere una colt calibro quarantacinque sei colpi nella fondina e una carabina Winchester, poggiata sulla parete di casa, proprio alle spalle della sedia a dondolo, una discreta assicurazione sulla vita in un posto dove mancano molte cose ma soprattutto è assente uno sceriffo.

Perché una cittadina porta tante cose, una ferrovia in costruzione, luoghi di ristoro, scambio e commercio tra le persone, affari. E porta tanti soldi. E i soldi portano anche ladri e truffatori. Gente cui piacciono l’alcool, le donne, il poker e soprattutto piacciono proprio i soldi, tanti, fatti senza dover passare la giornata a sudare vangando e zappando il campo o trasportando merce pesante sulla schiena.

Le strade fangose, le costruzioni di legno che presto saranno banche, alberghi e mercati e saloon attirano le persone come il miele fa con le mosche e la ferrovia, appena terminata, trasformerà questo piccolo agglomerato di contadini in una città viva e fiorente.

Meglio essere armati, non c’è dubbio.

Mi rendo conto di stare raccontando una serie di luoghi comuni che tutti conoscono e hanno ben presente a causa dei film, dei romanzi, dei telefilm come si chiamavano una volta e delle serie televisive, come si chiamano oggi.

Tutti abbiamo ben presente l’immagine del pianista del Saloon, con i suoi occhialetti tondi da miope, chino sulla tastiera a leggere spartiti e a evitare bicchieri volanti e proiettili vaganti. Tutti abbiamo sognato la bellissima ma poco raffinata e pure avanti con gli anni maitresse, avanzare provocante e procace con una sottile sigaretta fumante stretta tra le dita guantate. Tutti conosciamo il barbiere del posto, con lacci a reggere le maniche della camicia bianca che alterna con eguale destrezza rasoi da barba a pinze cavadenti e tutti abbiamo ben presente il tizio vestito di nero che passa a prendere le misure a clienti senza più un alito di vita, riconosciamo il gringo messicano dal sombrero e dal poncho, sappiamo che un fazzoletto davanti alla faccia serve a non mangiare la polvere durante una galoppata ma è buono anche per assaltare e rapinare una diligenza.

Sappiamo bene quando il baro sta per tirare fuori l’asso dalla manica, lo tradisce un guizzo del muscolo facciale e capiamo in anticipo quando il pistolero sta per premere il grilletto in un duello. Conosciamo il suo sguardo, lo leggiamo nei suoi occhi.

Ecco perché mi piacerebbe essere armato.

Quello che non mi spiego è perché dell’armonica.

Forse perché non posso fare a meno della musica e di uno strumento che possa riprodurla, anche in un posto così duro.

Forse perché penso che sia questo a distinguerci nel mondo animale tra le altre mille caratteristiche che al contrario rendono gli animali migliori di noi.

Forse perché vorrei vivere in un luogo che mi permettesse di suonarla seduto sul porticato di casa invece di trascorrere le serate a inebetirmi davanti uno schermo.

Tutte queste cose, di certo.

Allora meglio smettere di sognare.

Vado in camera, apro il cassetto.

Tiro fuori l’armonica dalla custodia.

Mi verso un dito di rum.

Mi siedo sulla sedia a dondolo e soffio nello strumento.

I cani del vicinato iniziano il loro concerto.