domenica 29 agosto 2021

Sedazione

 





Quando pensi di aver visto tutto nella vita, capita qualcosa che ti fa sospettare che stavi sbagliando.

Che ti costringe a cambiare prospettiva.

Un imprevisto, una casualità, un malanno.

Ho ottantacinque anni e della guerra ricordo poco o niente. La sirena che ci faceva scappare nelle cantine (a fare la fine dei topi, ho pensato in seguito) o qualche soldato che non parlava la nostra lingua e ci regalava gomme da masticare. Da ragazzo mi ripetevo tante volte che meglio sarebbe stato morire guardando in faccia il nemico, aprendo la camicia e mostrando il petto ai fucili, come un eroe romantico da operetta ma da ragazzo, come spesso accade ai ragazzi, non capivo niente.

Poi sono cresciuto nel lavoro e nella famiglia e mi sono fatto una vita tutta mia, come mi sentivo ripetere da sempre, sapendo che era la cosa giusta da fare. Ma alla famiglia, che cresceva e moltiplicava, non ho potuto dedicare molto perché il mio tempo era dovuto al lavoro e il lavoro non mi restituiva che spossatezza che nemmeno il sonno sapeva placare e dolori alla schiena e a tutto il corpo, che nessun dottore ha mai potuto lenire.

Ma tutta la stanchezza e tutti i dolori non sono niente, niente se in cambio hai una moglie che ti guarda con comprensione o se hai sulle ginocchia un pronipote che vuole giocare con te e ti fa scoppiare il cuore di tenerezza.

Ho visto tante cose nella vita, giovani rovinarsi con le proprie mani, regalando la propria felicità in cambio di una bottiglia di vino, uomini come me, dannarsi e sporcarsi le mani di sangue per colpa di una gelosia malata, uomini che riuscivano a crescere solo negli anni, ma nell’animo rimanevano bambini, bambini capaci solo di incolpare gli altri per le proprie sconfitte.

Ho visto anche uomini e donne fallire nei loro progetti per la cattiveria e la scaltrezza altrui, e per la loro innocenza o forse ingenuità, e distruggere così anni di sacrifici e impegno.

Ho visto famiglie rompersi come si rompe un giocattolo che si è amato ma che è venuto a noia e così si desidera un gioco nuovo, mariti e mogli usare il coniuge come un oggetto, una cosa di poco riguardo e di nessun valore, un soprammobile che ci si ricorda di spolverare solo quando viene qualcuno.

Ho perso diversi amici, durante la vita. Quelli perduti perché sono morti erano amici, gli altri li ho lasciati andare e forse non erano davvero amici ma solo persone che hanno percorso qualche anno vicino a me, senza essere mai state dentro di me, e sento forte il rimpianto per alcune persone che invece di sbocciare e dare frutto, sono avvizzite come un fiore reciso e senza acqua. Oggi posso dire di avere pochi amici ma quelli che sono rimasti, meritano il termine.

Ho avuto la possibilità di stare tra la gente, camminare in mezzo a una folla, chiacchierare nelle marce, gridare negli scioperi ma anche cantare durante le processioni e le feste. Sentire l’abbraccio e muovermi e accorgerci che si era un unico corpo in movimento di cui noi, uomini e donne, eravamo gli organi senza i quali il corpo sarebbe morto.

Altre volte ho avuto la possibilità di assaporare l’incanto del silenzio e della solitudine, al termine di un sentiero tra le pietre di una montagna o seduto sull’erba all’ombra di un ciliegio tra le colline, e nel silenzio godere del verso del mondo che stava girando.

Sono molti i doni che ho fatto e che ho ricevuto. Innumerevoli gli oggetti, offerti per tradizione o apparenza, inutili e ingombranti che sarebbero finiti in quel museo dell’antichità che quasi tutti conserviamo nelle nostre cantine, ma anche molti graditi come un respiro d’aria fresca dopo un’immersione, autentici gesti di bellezza e di amore, segno concreto di legami invisibili. Il dono più prezioso, dopo quello della vita, me l’ha fatto Dio mandandomi la moglie che ho sposato e che mi aspetta da qualche parte e presto incontrerò. Per tutti gli altri, spero e credo di esserne stato all’altezza e di averli meritati.

Un altro dono che ho saputo riconoscere e di cui sono stato sempre sommerso è stato gioire del sorriso delle persone. Riconoscere la sincerità di questo semplice gesto, mai banale, che è sempre stato sufficiente a scaldarmi anche nelle notti d’inverno. Come quello di quest’infermiera che ho davanti, che non smette di sorridermi anche rimanendo seria e concentrata.

Io so che è sincera, questa donna che armeggia con i suoi farmaci, e se anche sta calcolando dosi e misurando volumi, il suo sorriso è autentico, anche se sa che la sto osservando, le parte dal cuore, si rivela sulle labbra ed è confermato dagli occhi.

Ora sono davvero stanco, solo a sentire il termine sedazione, provo un autentico conforto e capisco che chi è presente al momento voglia piangere, perché non riesce a coglierne il sollievo. Ma sono in pace come non lo sono mai stato prima.

Dunque vai, giovane donna, premi sullo stantuffo e inietta il farmaco, perché ora ho solo voglia di dormire e sono felice perché mi è stato promesso che potrò rivedere i cani e i gatti che ho avuto e che sono stati autentici e gioiosi compagni di vita, creature che ho amato e che mi sono mancate ogni giorno, e che non dovrò più soffrire per le infermità che angustiano le persone anziane come me.

Grazie a te, dolce infermiera che mi sorride, perché stasera sarai a casa, da tuo marito e tuo figlio che laveranno via la stanchezza del tuo difficile lavoro, mentre io finalmente dormirò felice.

O forse no, ma va bene così.

 

 








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