sabato 30 maggio 2020

messaggi in bottiglia












Un caldo pomeriggio, proprio mentre i primi raggi dorati del tramonto trafiggevano obliqui il giardino, rientrai a casa da una pedalata, stanco e sudato. 
Avevo preso l'abitudine di riempire le ore libere dal lavoro, di corse e camminate e pedalate. Tutto pur di rientrare tardi. Tutto pur di spremere ogni singola goccia di sudore, bruciare ogni singola residua riserva di energia, prima di chiudermi la porta di casa alle spalle e con essa il mondo fuori. 
Rientrare in una casa vuota mi riempiva di sgomento e lo facevo giusto per mangiare un boccone e cadere come morto su un divano, incapace finanche di sbottonare la camicia. 
Tutti questi mesi non sono serviti a niente, pensavo. Elaborare, assimilare, digerire un'assenza erano per me verbi estranei, parole vuote appartenenti a un mondo straniero. 

Tuttavia quel pomeriggio entrai nella vecchia e cadente villa e mi arrestai all'ingresso. Chiusi la porta e mi appoggiai e mi sorpresi a fissare l'enorme libreria senza avvertire la solita forte sensazione di solitudine. 

Ebbi l'impulso di prendere un volume sullo scaffale in alto e lo feci, non so perché, non avevo intenzione di leggere, di certo non in quel preciso momento, piuttosto avrei avuto bisogno di una doccia. Ma avevo percepito forte l’urgenza di cercare un libro, un tomo polveroso e dalle pagine ingiallite, comprato più di trent'anni prima in un'altra vita e che avrebbe potuto tenermi compagnia per quello che restava della serata a casa. 

Dallo scaffale più alto il libro scivolò e mi scappò di mano mentre dalle pagine sfuggì un foglio che prese a svolazzare per la stanza come una farfalla dalle ali gialle. Solo che sembrava una farfalla morta, appena staccata dallo spillone che la fissava alla sua cornice. 
Mi chinai a raccogliere il libro. I due pezzi del libro. Maledizione, una prima edizione introvabile di Stephen King. Poi raccolsi anche il foglio. Mi sentii come uno che raccoglie una bottiglia sulla battigia e scopre che dentro c'è un messaggio! 
Non avevo l’abitudine di conservare fogli o appunti tra le pagine dei libri finiti, era per me un ottimo sistema per dimenticare e perdere per sempre quelle informazioni, perché raramente sfogliavo le pagine dei libri già letti, quindi era stata una sorpresa vedere quel foglio. Lo raccattai da terra con prudenza e i numerosi post-it gialli, dalla colla ormai secca e inefficace, si sparpagliarono sul pavimento. Sul foglio apparivano pochi appunti a matita, scarabocchiati da una grafia minuta e irregolare che avevo imparato a conoscere bene e di recente a dimenticare. 

Sopra i post-it apparivano strane e incomprensibili formule, per me che non avevo mai apprezzato il mondo della matematica e non ero mai stato a mio agio con enigmi e rebus era come leggere una lingua aliena. 

tn, p 389 r 20 oppure d, p 57 r 23 e ancora 22.11, p 53 r 9 erano messaggi senza senso, privi di una logica comprensibile, sapevo chi li aveva scritti e odiavo quella persona che mi aveva lasciato per sempre solo in una casa enorme, piena di stanze e angoli in cui ogni cosa mi ricordava, anzi mi urlava il suo nome e ora mi lasciava queste formulette che non mi dicevano un gran che e mi stavano irritando. 

Provai a incollare di nuovo i post-it sul foglio seguendo le ombre di polvere che vi avevano lasciato, ma era un’impresa disperata così li poggiai sul tavolino sotto la finestra e il sole, prima di scomparire, rese il loro colore giallo prezioso come l’oro. 

m o p 178 r 16, e su un altro j p 11 r 18. Appena sotto disposi un altro messaggio che riportava: e p 65 r 15 e ancora s p 283 r 31 

Mi era venuto il nervoso, ero stanco, andai a fare una lunga doccia e uscii solo quando l’acqua si era fatta troppo fredda e stavo tremando. Mi asciugai e mi buttai sul letto con ancora il vecchio accappatoio addosso. Non era il mio e per questo non mi decidevo a buttarlo, e mentre mi sentivo sempre più debole, il sonno mi sorprese e mi spinse in un posto buio e silenzioso. 

Le lettere che si ripetono, le lettere sempre uguali significano una cosa banale, anche un bambino lo capirebbe, un bambino con un cervello normale ma non tu, tu sei stupido, non hai cervello, le lettere che si ripetono significano… 
Così mi svegliai, con la sensazione di essere il più grosso stupido sulla faccia della terra. Guardai la sveglia, erano le tre e quaranta del mattino, un’ora giusta per gli incubi, un’ora in cui si può morire, un’ora in cui le cose oscure durante la luce del giorno ridiventano chiare. 

Scesi dal letto facendo scricchiolare il palchetto di legno e andando a sbattere contro uno stipite. Andai quasi di corsa nell’ingresso a prendere i post-it lasciati sul tavolino, da fuori nel buio un gufo cantava la sua canzone. O forse era un barbagianni o una civetta, che ne sapevo io di rapaci notturni, in fondo. Raccolsi tutti i biglietti e tornai sul letto perché mi stavo congelando i piedi. 
Come avevo fatto a non vedere. Li misi in ordine uno sotto l’altro come si mette in colonna un’addizione. 


m o p 178 r 16 

n s p 108 r 34 

j p 11 r 18 

d s p 57 r 23 

s b p 180 r 7 

t n p 389 r 20 



Ce n’erano anche altri ma così bastava a chiarire il concetto. Sono libri, pensai sorridendo, che altro. Per tutta la vita eravamo stati entrambi ossessionati dalla lettura, dal collezionare, accumulare edizioni rare, commerciare, scambiare, anche scrivere qualunque cosa riguardasse il mondo dei libri. E quando avevo trovato, sotto il naso, quelle formule non ero riuscito a vedere, che idiota. 

“p” sta per pagina e “r” per riga, ovvio. Come bere un bicchiere d’acqua. 

Tornai a letto, soddisfatto. 
Non riuscii a chiudere occhio. Avrei dovuto chiamare e posticipare il turno di lavoro ma ero troppo eccitato per dormire. 
Appena la luce naturale spense il canto del rapace notturno e accese le suonerie e i trilli dei pennuti mattutini, mi costrinsi a uscire dalle coperte, sbadigliante e assonnato ma curioso come una scimmia. 
Andai a raccattare tutti i bigliettini e misi su la moka, deciso a giocare la caccia al tesoro. 

Il primo pensiero fu: chissà se ci sono altri fogli con post-it appiccicati sopra? Poi capii che prima dovevo capire in quali libri cercare. Ma quella era una sciocchezza. Il foglio era conservato nel volume che si era spezzato a metà e il ricordarlo mi diede un dolore inusitato. Era solo un libro, avrebbe detto qualcuno, certo, ma si trattava della prima edizione de L’Ombra dello scorpione… già, facile, “o” e “s”, andai a cercare il post-it e lo trovai immediatamente: o s p 355 r 39! 

Andai a raccattare il libro sul tavolo in salotto, dove attendeva paziente l’intervento di restauro e cercai la pagina 355 che si trovava nella prima meta, verso la copertina. Contai 39 righe e trovai una frase sottolineata in matita: “sentì che di nuovo stava perdendo il fuoco”. 

Io non avevo l’abitudine di sottolineare le pagine dei romanzi, sarebbe stato un sacrilegio. Ma qualcuno in quell’enorme villa lo aveva fatto e ora mi stava parlando come parlano i fantasmi nei film dell’orrore. Cominciai a tremare, iniziarono le mani per coinvolgere tutto me stesso e per poco il libro, la parte che impugnavo non finì di nuovo sul pavimento. La frase sottolineata rappresentava bene come stavo negli ultimi giorni, dopo un periodo di relativa stasi. Sentivo davvero che stavo perdendo il fuoco, avrei dovuto lavorare su me stesso per rimettermi in sesto. 

Feci posto sull’enorme tavolo e radunai i biglietti. ”m v” era senza dubbio Il miglio verde, alla pagina 63, riga 30 era sottolineata la frase: “a nessuno piace confessare sentimenti che lo faranno apparire ridicolo”; “s d” era Stagioni diverse, alla pagina 109, riga 31 c’era un segno a matita sotto: “il cuore mi batteva come impazzito” ed era proprio ciò che stava accadendo ora, il cuore martellava nel petto al pensiero che qualcuno mi stava mandando dei messaggi da un altro tempo. Da un altro mondo. Bevvi in caffè che nel frattempo si era sparso per metà sulla cucina. Nero e amaro. Mi sentii più sveglio e proseguii la ricerca. 

22 e 11 si riferivano al titolo che è una data: 22/11/63 e, infatti, alla pagina 53, riga 9 trovai la frase sottolineata: “mi sentivo come un uomo che legge un libro molto triste” e questa frase mi colpì con la violenza di uno schiaffo. Parlava con me ma parlava anche di me. Mi ripresi e cercai ancora, di nuovo 22 e 11, alla pagina 125 riga 30 “dovevo aprirmi un varco, ma come?” già, dovevo farlo. 

m o stava per Mucchio d’ossa, andai a p 178 r 16, la frase diceva: “mi fermai nell’ingresso” e le successive coordinate p 361 r 26 davano un inquietante: “Ho un messaggio per lei”. 

Era nell’ingresso che ieri mi ero fermato e mi era piovuto sulla testa il foglio… 

J era Joyland e a pagina 11 riga 18 stava scritto: “mi ritrovai sospeso in cielo, sentendo che mi lasciavo a terra ansie e preoccupazioni”; il prossimo era e p 92 r 4, il libro era Elevation e la frase recitava: “il passato è storia, il futuro un mistero”. Sul nuovo post-it t n p 389 r 20 indicava senza dubbio la saga della Torre Nera, trovai in un attimo la frase: “Avere nostalgia di casa è umano” mi asciugai le lacrime, nostalgia di casa sapendo che quando diventa vuota non è più casa. 

Trovai nel libro La scatola dei bottoni, a pagina 180 riga 7, la frase: “la situazione continuerà a migliorare, è la regola” e questo mi sbloccò il respiro nel petto. Poi di nuovo ne La torre nera, pag. 271 riga 28: “ci prenderemo per mano” e nel nuovissimo volume Se scorre il sangue, alla pagina 283 riga 31 la frase: “non voglio più sentirmi fragile”. 

Un ultimo post-it mi capitò nella mano e il codice era ormai conosciuto, si trattava di 22/11/63 pagina 701 riga 26. 
Restai immobile nella luce della finestra che invadeva il salotto. 
Dal suo mondo il fantasma mi stava portando a vedere quello che da solo non avrei visto. 
Potevo e dovevo farcela, anche se in quel momento le forze mi avevano abbandonato. Lessi più volte la frase sottolineata a matita sulla pagina. 

Diceva: “ce l’avevo fatta, ma nella mia bocca il successo aveva sapore di cenere”. 
Era a quello che ero destinato? 

Sopravvivere a quel periodo d’incubo e tornare ad assaporare la vita, gustare i sapori che le giornate nuove mi avrebbero offerto ma senza poter sputare il retrogusto amaro dei ricordi e del dolore? Se era quello che mi stava dicendo il mio fantasma allora lo avrei accettato. 

Tuttavia c’era qualcosa che non aveva gusto amaro, il mezzo che aveva scelto. Io sapevo, ma chiunque amasse la lettura lo poteva capire, che erano i libri, il mezzo col quale qualcuno poteva comunicare dei messaggi senza che barriere fisiche come tempo, spazio, vita e morte lo impedisse. 
Mi era arrivata forte la voce che imponeva di tornare a vivere, essere coraggioso, non sentirmi ridicolo, aspettarmi il meglio, accettare la tristezza e l’amaro che a volte la vita ti propina. 

E lo aveva fatto scegliendo il mezzo che più amavo, i romanzi. 
Quelli di un autore americano che da oltre tre decenni affollava i miei sogni e partecipava alle mie giornate, conoscendomi come nemmeno io mi conoscevo. 

Raccolsi i post-it e li misi in un cassetto. 
Poi mi vestii e mi preparai ad andare al lavoro. 
Una lunga giornata mi attendeva. 












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