lunedì 16 marzo 2020

Facciamo qualcosa?











Domenica pomeriggio. 

Quiete intorno. 

Strade vuote e silenziose. 

Nessuno in giro e niente da fare. 

Ogni tanto giunge la voce di mia figlia dall’altra stanza che si lamenta con un: “facciamo qualcosa?” 

Mi è stato suggerito da una collega di “prendere appunti” perché il clima è tale da poter ispirare una grande storia, che sia drammatica, di fantascienza o sovrannaturale. 

Ci penso e credo che sia vero. 

Ma non voglio e non lo farò. 

Trovo che i titoli editi questo mese a tema pandemie e misure sanitarie, siano un tipo di sciacallaggio intellettuale basato sulla paura della gente, una forma di guadagno facile e mi vergogno a nome degli autori e degli editori coinvolti. 

Guardo fuori. 

L’atmosfera è innaturale e surreale, nemmeno fossimo dentro un film di Kubrik, basta affacciarsi al balcone, anche perché uscire senza motivo, non è permesso. 

Vengono in mente le immagini di vecchi film di fantascienza, dove le persone sono uccise e sostituite da alieni nati in mostruosi baccelli. Film in cui torme di zombie, resi tali da un misterioso germe, vagano alla ricerca di nutrimento vivo. Pellicole in cui eroi romantici vagano soli tra mille perigli, attraversando lande abbandonate, alla ricerca di altri esseri umani. 

Tornano alla mente le pagine di vecchi romanzi letti, al sicuro sul divano di casa o sotto un ombrellone, tra le cui righe si disfaceva il rassicurante mondo, quello che conosciamo, per lasciare il posto a uno scenario sterile e inumano in cui gli unici esseri a vedere il futuro sono quelli a sei zampe e con un carapace. 

Se abbiamo un motivo valido, possiamo uscire da casa. 

Mi sono visto, riflesso sul vetro delle auto parcheggiate, muovere come un diafano fantasma con la mascherina, per strade semideserte in cui il contatto sociale è sconsigliato, ho visto me stesso e altri attraversare la strada per non incrociare i rari passanti. Ho visto occhi spaventati e colpevoli e sguardi accusatori e diffidenti. 

Quello che sta succedendo ha accelerato un processo avviato da qualche tempo, contatti umani via via scomparire sostituiti dalla vita virtuale, vissuta su display di migliaia di smartphone. 

Vi racconto una cosa triste? 

Quando torno a casa dal lavoro non abbraccio né bacio più mia moglie, non per mancanza di amore, ma per la paura di farle del male, per il terrore di portarle la malattia. 

Una forma odiosa di prevenzione, di rispetto. 

L’assenza di contatto umano è una delle cose peggiori e scopriamo ora quanto sia necessario per sopravvivere, e noi che credevamo che fossero le scorte di cibo. 

Arriva sera. 

E’ stato strano vedere tutti nella via, affacciarsi al balcone di casa con una fonte luminosa in mano, come a rendere onore a una processione invisibile. Quel gesto ci ha fatto sentire meno isolati, legati dallo stesso destino e pronti a illuminare la speranza che tutto passi presto. 

E quando tutto passerà, ritorneranno la voglia di incontrarci per strada, sorridere e parlarci a vicenda, senza maschere, stringerci la mano e toccarci senza più paure. 

Tutto sarà di nuovo possibile. 

Tornare a casa dal lavoro e abbracciare mariti e mogli e figli e genitori e stringersi e baciarsi. 

Tornare a vivere nelle strade e guardare i balconi dal basso. 

Passare una domenica pomeriggio in casa a fare niente ascoltando una voce dall’altra stanza che dice: facciamo qualcosa? 

E finalmente, farla!










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