venerdì 30 novembre 2018

Il fantasma del Natale recuperato











-Mamma, perché quell’uomo piange?

-Ssshhhhhht! Risponde la mamma, alzando un inequivocabile indice davanti al naso.

Ma il bambino, insiste, a cinque anni si è curiosi e insistenti.

La mamma lo trascina via per un braccio. 

-Ah, guarda, stanno montando l’albero di Natale, andiamo a vedere!



L’uomo sorride, divertito dalla scena e dall’imbarazzo della donna. Tira fuori un fazzoletto, si asciuga le lacrime e si gira per tornare a casa.

Ricorda, per un momento quando da giovane tirava di boxe, qualche pugno lo aveva dato e tanti ne aveva presi ma nessuno, nessuno lo aveva fatto stare male come ora.

Fa freddo, ci vorrebbero i guanti per uscire, ma lui è sempre troppo di fretta o solo troppo distratto per prepararsi come si deve. Appena entra nell’appartamento semibuio, gli si appannano gli occhiali e si ritrova immerso nella nebbia.

Gli occhi non hanno smesso di lacrimare, si dice per il freddo, non credendoci nemmeno lui.

-Non puoi stare tutto il giorno fuori!

L’uomo non risponde ma nella sua mente si forma un pensiero, è che non riesco a stare in casa dove ogni muro, ogni angolo mi parla di te.

-Guardati, cerca di avere più cura di te.

Lui entra in bagno e accende la luce dello specchio. Gli occhi sono rossi e segnati, la barba di tre giorni grigia e ispida gli conferisce un aspetto da vecchio malato. E forse è proprio così. Un vecchio solo e malato 

E a peggiorare le cose, le feste imminenti.

-Non ti servirà a niente compatirti e compiangerti. Non interessa a nessuno la tua solitudine, sei tu che hai scelto di vivere in questo modo!

La voce che giunge dalla stanza da letto ha preso un tono che non gli piace, stridulo e arrabbiato, gli mette paura.

Pensa, non è così che doveva andare. 

Ma non va mai come si era sognato da ragazzi, come si era fantasticato, non è vero?

Non dovevo farti andare via.

-Non avresti potuto trattenermi nemmeno con la forza. E non puoi incolparti di come sono andate le cose tra di noi.

Lui si siede sul gabinetto senza avere intenzione di usarlo veramente, con la testa tra le mani callose. Non avrei dovuto colpirti ma non potevo controllare quegli attacchi di rabbia.

-Smettila! Non mi hai colpito. Ti sei rotto le nocche contro il frigo, ecco com’è andata. Ed io sarei andata via comunque, era una decisione presa.

L’uomo urina qualche goccia, si sciacqua le mani al lavandino e va in cucina a versarsi un bicchiere di vino. Non accende la luce, ogni cosa è lì, dove sta sempre e lui trova tutto nella penombra.

Mentre beve, ripensa a quando aveva saputo della malattia di sua moglie, un anno dopo che lei se n’era andata. Non era stato capace di andare a trovarla perché così era lui, un paralitico di fronte alle emozioni. 

-Ogni anno la stessa storia, arrivano le feste e tu cosa fai? Bevi e te ne stai da solo in queste due stanze puzzolenti.

La voce ha parlato a volume basso, quasi un sussurro nell’orecchio, ma traspare la forza. Una forza spaventosa.

All’uomo sfugge il bicchiere di mano, finisce in mille pezzi sul pavimento. Trema e ci mette parecchio a trovare l’interruttore. Anche al funerale restò così, come un paralitico, in fondo alla chiesa, incapace di muoversi e parlare con nessuno.

Poi prende la scopa e si mette a pulire.

-Chiamalo!

Era un imperativo. Lui fissa il telefono da parete. Un oggetto che era stato lì, su quel muro, quando loro ancora non si conoscevano. Quando il pugno non era ancora partito.

Non so se ci riesco, pensa il vecchio.

-Chiamalo e smettila di essere così cocciuto! O me ne andrò via di nuovo e stavolta per sempre…

Lui ha paura. Non sarebbe sopravvissuto.

Ma cosa avrebbe potuto dire a suo figlio? Non ci parlava da quanto… troppo tempo.

-Chiama ora! Urlò la voce.

L’uomo si versa un altro bicchiere, questa volta pieno d’acqua e lo tracanna.

Poi prende un respiro profondo e mette una mano sulla cornetta grigia.

-Pronto?

-Sono io…

-Papà? Papà, sei tu? Come… stai bene? E’ successo qualcosa?

-No, no. Sto bene… è solo che, è passato così tanto, mi dispiace…

I suoi occhi riprendono a lacrimare.

-Senti papà, lo sai cosa facciamo? Quest’anno le feste le passi con noi, stiamo preparando già, non accetto rifiuti…

Lui non sa cosa rispondere, nelle sue orecchie sente ancora la voce che minaccia: andrò via di nuovo e stavolta per sempre…

-papà? Sei ancora li?

-Si, scusa… sono qui.

-Anzi no, meglio ancora, tra mezz’ora esco dal lavoro e passo da te. Stasera mangi con noi così programmiamo assieme! Preparati, a più tardi…

Non può deludere ancora quel ragazzo, così entusiasta, così per bene. Quel giovane uomo che mai, neppure una volta lo aveva accusato, mai gli aveva puntato il dito come ci si sarebbe potuto aspettare.

E adesso cosa faccio, è al momento il pensiero che lo assilla.

-Preparati, cambiati, fatti la barba e renditi presentabile. Andrà tutto bene. 

Gli dice, forte e chiaro, sua moglie dalla camera da letto.

Andrà tutto bene. 

Lui si fida. Va in bagno, questa volta accende tutte le luci. Avrebbe passato le feste col suo ragazzo e con la famiglia. Andrà tutto bene, si…

Attende che si calmi il tremore delle mani, prende il pennello e la schiuma e inizia a trafficare con cautela passando il rasoio piano.

Appena ha finito, si lava la faccia e si pettina, dimostra cinque anni di meno.

Quando suona il campanello, mette il cappotto e esce da casa.

Si fida.

Andrà tutto bene.

La voce non dice nulla, forse sorride.









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