domenica 11 febbraio 2018

Cicatrici







Dopo una corsa, come la maggior parte delle persone, faccio la doccia.
Non penso di rappresentare la totalità delle persone ma almeno la maggioranza.
Talvolta, se capisco di avere la pelle secca, passo anche una crema idratante, soprattutto d’estate, quando si può uscire in bermuda.
Passo la mano sul polpaccio della gamba destra e sento, proprio al centro del muscolo, un irregolarità. Mi piego e tiro su il tallone, con le dovute cautele legate all'età, e vedo una piccola area circolare più chiara. Una cicatrice.
Me ne ero dimenticato.
Ero un giovane preadolescente, non ricordo più se frequentassi la prima o la seconda media. Quello che ricordo è il luogo.
Ero nel lungo parcheggio che fronteggia la zona industriale, in quello che viene ancora chiamato ”parco basso” dove ora sono stati ripristinati i giardini reali della reggia.
Pedalavo come un forsennato sulla mia Graziella blu, facendo a gara con mio fratello, quando con la ruota anteriore presi un sasso, credo, oppure un buco. Non importa perché il risultato non cambiò, persi il controllo della bicicletta e finii lungo disteso a terra, pieno di contusioni e con un pedale che mi bucava il polpaccio.
Quella era l’epoca del “non farti male che prendi il resto” e io per non incorrere nel fatidico resto non dissi niente a casa.
Me la cavai con un poco d'acqua e un fazzoletto.
Non ricordo molto altro ma la cicatrice è ancora lì, muta testimone di una vicenda capitata a un bimbo vissuto in un'altra vita.

Ogni tanto, quando penso ad altro, ho preso l’abitudine di passare il polpastrello dell’indice della mano sinistra sul lato del pollice e così facendo avverto una piccola irregolarità, come una scanalatura, un piccolissimo scalino sulla pelle, quasi invisibile a occhio nudo.
Ma c’è a cercare bene, sapendo dove cercare e io so bene dove cercare. Ricordo quando ruppi la fiala di vetro che stavo per caricare in una siringa. Era un giorno, un periodo di grande sofferenza, di infinita emotività e seppi allo stesso istante, mentre applicavo  un cerotto sulla piccola ferita sanguinante che non avrei mai potuto dimenticare quel momento.
Sono passati quindici anni e così è stato.

A voler osservare bene, la nostra pelle è  piena di segni e cicatrici e ognuna ha una storia.
Ognuna parla di qualcosa di noi. Raffigura un pezzetto della nostra vita.

Anche quelle che non si vedono. Anche quelle che non sono aperte sulla pelle ma sul cuore.
Sull’anima.

Le cicatrici più dolorose, che nessuno può vedere, quelle che solo noi sappiamo di avere, che nessuno può lenire.

Quelle sulle quali nessun cerotto potrà essere d’aiuto se non forse quello del tempo.



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