Sportello 41, scala b, terzo piano.
La sala d'attesa è
semibuia, le pareti tristemente spoglie, l'aria viziata.
Gino varca la soglia e
sgrana gli occhi. Pensava, o meglio sperava, di trovare poca gente invece nella
sala ci saranno almeno una sessantina di persone, tutte già nervose, tutte già
impazienti.
Gli sportelli sono
ancora chiusi, tutti e quattro. Un orologio sulla parete indica che mancano due
minuti all'apertura.
Deve prendere il
numero.
Una vecchia, dalla voce
acida, indica a Gino il numeratore sulla parete opposta.
Ma io devo solo
consegnare un modulo...
Deve prendere il
numero!
Insiste la vecchia con
la sua vociaccia.
Gino desiste, va a
staccare un biglietto di carta grigia che riporta un numero stampato: settantaquattro!
Si gira verso un
signore con un Loden verde molto fuori moda e sussurra: ma io dovevo solo
lasciare un foglio... Ma il tale col Loden fa finta di non sentire.
Poi cambia idea perché
guarda verso Gino e dice:
Tutti qui devono solo
lasciare un foglio o ritirarne un altro o compilare una domanda o chiedere
un'informazione. Non la faranno passare mai, quindi si prenda il suo numero e
aspetti il turno.
Gino capisce, si
rassegna e si cerca una sedia vicino all'uscita. Così, per sentire l'aria
fredda che arriva da fuori.
È una bella giornata
invernale, con un po' di pazienza presto sarà fuori a godersela.
Nel frattempo gli
sportelli sono stati aperti e le prime quattro persone stanno già parlando con
gli impiegati.
Bene, pensa Gino,
quattro alla volta non ci metteranno molto a smaltire questa gente.
Venti minuti dopo i
primi quattro, sempre gli stessi, stazionano ancora davanti agli sportelli.
Dopo quaranta minuti
Loden verde ha chiamato un ragazzino col cellulare, il figlio probabilmente, e
si è fatto portare un giornale. Con il suo quotidiano si sistema comodo sulla
sedia di plastica dura e si mette a leggere con sguardo serio e concentrato.
Nel frattempo la sala
si è ulteriormente riempita.
Gino aspetta due ore
prima di vedere Loden verde alzarsi, piegare il giornale e avvicinarsi a uno sportello.
A
intervalli di quindici minuti un impiegato per volta lascia lo sportello. Semplicemente
indica alla persona successiva di attendere sulla striscia gialla per terra, si
alza e si assenta probabilmente per una pausa caffè.
Dopo
circa due ore e tre quarti davanti allo sportello numero quattro c’è la persona
che ha staccato il biglietto n. 73.
Gino
scalda i motori.
Guarda
la sala ancora piena per metà di gente annoiata, stufa, inacidita.
Guarda
il display che riporta il numero settantatré e che lampeggia rosso.
Guarda
gli impiegati ai quattro sportelli che dialogano cortesemente, quasi
amabilmente con le persone di là dei vetri.
Poi,
come per magia, un lieve suono indica il cambio del numero, Gino legge quasi
incredulo;
N.74
sportello: 2
Per
un momento si sente paralizzato, la lunga attesa gli ha anchilosato gli arti
inferiori, non riesce a muovere un muscolo. Poi la volontà e la concentrazione
vincono l’inerzia e Gino si dirige a passo di carica verso lo sportello numero
due.
Como
dice? Non va bene? Gino non crede alle sue orecchie.
La
domanda va redatta con apposito modulo e non su carta semplice…no, il modulo
non è disponibile agli sportelli…un momento che sento il dirigente preposto…signore
non si arrabbi, sto facendo il mio lavoro… sì, come dice? Posso farlo salire?
Certo, lo mando all'ufficio protocollo, grazie…
Gino
vorrebbe interrompere quell'odiosa telefonata, chiarire all'interlocutore che
ha aspettato ben settantatré persone per sapere che non doveva fare quella
coda!
L’impiegato
gli sorride e con fare professionale e premuroso gli indica l’uscita alle sue
spalle.
Deve
dirigersi alla destra dell’ingresso, da lì
partono due scale, deve prendere quella di destra, certo c’è anche un ascensore
ma è riservato ai dipendenti. Al secondo piano prenda il corridoio di sinistra
e conti quattro porte. Sulla quarta una targa indica; Ufficio Protocollo.
Non
può sbagliare, lo congeda l’impiegato e a suggellare l’addio, il display suona
e segnala che è il turno del numero settantacinque.
Gino
va verso l’ingresso lasciando con sollievo la sala d’attesa, individua le
scale, segue le istruzioni e sale al terzo piano. Controlla il fiatone, poi
prende a sinistra conta quattro porte e legge: Segreteria!
Per
un attimo si sente confuso, torna in dietro, riconta fino a quattro leggendo
tutte le targhette su ogni porta e la quarta dice inequivocabilmente:
segreteria. Dell’ufficio protocollo neanche l’ombra.
Allora
bussa alla porta della segreteria, si affaccia e si schiarisce la voce,
Le
due donne sedute davanti ai computer devono essere sorde e cieche perché continuano
a fissare davanti come se non fosse entrato nessuno.
Gino
azzarda un flebile: scusate.
La
più vicina finisce di digitare una frase. La rilegge quindi si decide ad alzare
lo sguardo verso il nuovo entrato.
Desidera?
Scusate,
cerco l’ufficio protocollo.
E’
al piano di sotto. La risposta è perentoria e il tono arrogante.
Gino
si vergogna dell’errore e si ritira arretrando.
Poi
torna alle scale.
L'ufficio protocollo.
L'ufficio
protocollo è effettivamente al secondo piano come ha modo di verificare Gino
scendendo le scale di un piano, prendendo il corridoio di sinistra e contando
quattro porte.
Gino
bussa e attende. Nessuna risposta. Attende mezzo minuto poi bussa nuovamente.
Silenzio.
Che cosa
fare? Mica si può entrare negli uffici pubblici senza un esplicito invito.
Nemmeno può restare nel corridoio in attesa che succeda qualcosa, si dice
l'uomo, che ha preso coraggio e decide di aprire la porta e chiedere
informazioni.
Abbassa
la maniglia, apre la porta e infila la testa lasciando fuori il resto del
corpo.
Con
sorpresa si accorge che l'ufficio è vuoto. Non fa in tempo a ritrarsi che una
voce brusca lo sorprende alle spalle.
Che cosa
fa lei, non si può entrare!
Gino per
la seconda volta si vergogna come se fosse un ladro. Balbetta delle scuse e
mostra il suo foglio.
Ma
questa domanda non va bene scritta così.
Gino ha
un brivido. Che cosa devo fare? Chiede.
Lei deve
presentarla compilata sull'apposito modulo.
E dove
lo trovo l'apposito modulo?
Un momento
che sento l'ufficio anagrafica.
La porta
si richiude sul naso di Gino che vorrebbe dire che dopo tre ore di agonia non
se la sente di aspettare in un corridoio vuoto davanti una porta chiusa, che è
stanco e nervoso e vorrebbe qualcuno che gli parlasse guardandolo in faccia,
che gli spiegasse...
La porta
si riapre, l'impiegato si affaccia e porge il foglio di carta a Gino, fa un
sorriso.
Penso di
poterla aiutare, signore.
Gino
sorride a sua volta, incredulo.
L'impiegato
spiega a Gino che ha mandato una mail ad un collega che gli invierà sulla posta
elettronica il modulo appropriato cosicché Gino, una volta stampato, potrà
compilarlo e portarlo nuovamente agli sportelli al piano terra.
A Gino
il sorriso si spegne.
Deve
solo attendere che il collega spedisca la mail.
Gino
chiede dove deve aspettare e l'impiegato gli spiega che al primo piano c'è una
piccola sala d'attesa per il pubblico. Dovrà attendere solo dieci, venti minuti
e tornando troverà il suo modulo pronto e stampato.
Così
Gino scende di un piano e trova subito la saletta. Prima di sedersi guarda
fuori dalla finestra e si accorge che il cielo che prima era luminoso ora si va
coprendo di gonfi nuvoloni scuri.
E' quasi
ora di pranzo ma Gino che non ha nessuno a casa che lo aspetti, decide di
prendere un cappuccino alla macchinetta distributrice li, mentre attende.
Il
cappuccino è bollente e Gino perde più minuti del previsto.
Si
riscuote e decide che è ora di tornare al protocollo.
Lentamente
torna alle scale e sale due piani.
Poi
conta quattro porte e si ritrova davanti alla segreteria!
Il modulo giusto.
Gino
legge la targa sulla porta. Segreteria.
Rimane
con il braccio alzato a mezz'aria mentre si rende conto di avere sbagliato
piano.
Non
sa se essere arrabbiato con se stesso, preoccupato per una sua potenziale
demenza o se mettersi a ridere.
Pensa
che se esprimesse tutte queste emozioni contemporaneamente, qualcuno vedendolo
chiamerebbe un'ambulanza.
Scende
mesto le scale e ritrova l'ufficio giusto. Il percorso gli sta diventando
familiare.
Bussa
alla porta e attende.
Nessuna
risposta.
Bussa
nuovamente.
In
quel momento passa una persona e vedendo Gino fermo davanti all’ufficio
protocollo chiuso si premura di avvisare che gli impiegati di quella stanza
vanno puntualmente in pausa pranzo tutti i giorni alla stessa ora, cascasse il
mondo.
Gino
alza flebile una protesta, mi avevano detto che avrei avuto il modulo giusto...
Non
si preoccupi, lo rassicura l'uomo. Torneranno nel giro di mezz'ora.
Gino
resta solo, nel corridoio, senza modulo e con poche speranze di averlo.
Allora
prende una decisione, andrà via senza presentare la domanda e se ci saranno
problemi pazienza...
Scende
le scale, attraversa l'atrio e prima di uscire in strada getta lo sguardo verso
la sala d'attesa vuota. Una cosa attira la sua attenzione. Su un sedile è stato
abbandonato un quotidiano accuratamente ripiegato.
Gino
devia e va a raccogliere il giornale. È quello del mattino, di quel tizio col
cappotto verde.
Ma
sì, pensa, magari passo il tempo leggendo il giornale e aspetto che tornino gli
impiegati. Tanto la mattina è ormai persa.
Gino
mette il giornale sotto il braccio e torna nuovamente fiducioso verso la
saletta al primo piano.
Attorno
a lui dipendenti dell'ente scendono le scale, vocianti, diretti fuori per il
pranzo.
Una
cameriera col grembiule di un bar esterno gira con un vassoio in mano per
raccattare dai vari uffici le tazze usate per le colazioni estemporanee.
Gino
si siede su uno scomodo sedile di plastica bianca, apre il giornale e si mette
a leggere.
Notizie
politiche, cronaca nazionale, cronaca cittadina, spettacoli, cultura, pagine
sportive, quando non rimane che il cruciverba Gino sente il rumore
dell'ascensore e si riscuote dal torpore in cui era precipitato.
Ripiega
il giornale, lo mette in tasca e torna per l'ennesima volta all'ufficio
protocollo.
L'antro della
bestia.
L'impiegato
dell'ufficio protocollo spiega gentilmente a Gino che non ha ricevuto ancora la
mail del suo collega e non sa come aiutarlo.
Gino
vorrebbe non essere mai uscito da casa.
Il
collega che ha ascoltato dalla sua scrivania, improvvisamente si alza e
richiama l'attenzione dei presenti.
So
come fare!
Gino
si commuove.
Telefono
alla signorina Collolungo dell'ufficio relazioni col pubblico.
Chi?
Chiede il collega.
Chi?
Vorrebbe chiedere Gino, ma non gli esce la voce.
Si,
la signorina Collolungo, la titolare dell'URP, quella acida con una voce da
soprano che nessuno sopporta...
E
secondo te come può aiutarci?
Lei
ha tutti i moduli esistenti, ha un archivio aggiornatissimo, è maniacale in
questo, lo sanno tutti.
Il
mio collega ha ragione, vada alle relazioni con pubblico e si faccia dare il
modulo xz39, poi torni qui che la aiutiamo a compilarlo.
Gino
vorrebbe piangere ma si limita a chiedere indicazioni per trovare l'URP.
Mentre
l'altro telefona alla Collolungo il primo impiegato spiega:
Sportello
41, scala b, terzo piano.
Gino
lo fissa con labbra tremanti.
Allora
l'impiegato s’impietosisce e precisa, scenda fino al piano terra, poi oltrepassa
l'atrio, prima di arrivare nella sala d'attesa vedrà un corridoio molto lungo,
lo prenda, alla fine troverà quattro scale, prenda quella contrassegnata dalla
lettera b, vada al terzo piano, poi è semplice bussi alla porta n.41.
Oppure
segua la voce, scherza il secondo collega.
Gino
ringrazia e con gambe malferme esce dall'ufficio protocollo.
La
signorina Collolungo è una sessantenne magrissima, con una crocchia di capelli
grigi, occhiali spessi e tenendo fede al cognome, il collo abnorme. Fissa con
sguardo astioso Gino, sembra quasi provare odio ma non può fare finta di non
capire come fa normalmente per liquidare l'utenza, perché ha parlato con
l'impiegato del protocollo.
E
poi la richiesta è chiara e semplice.
Modulo
xz39.
Gino
ha il terrore di quella donna, non vede l'ora di uscire dalla stanza.
Lei
non smette mai di fissarlo, anche mentre trova con gesti secchi e precisi il
modulo tra centinaia di dossier impilati disordinatamente.
Tende
il foglio di carta e Gino nell'afferrarlo quasi esce correndo.
Altro
che sportello 41, l'antro della bestia!
Piano
piano, cercando di controllare il respiro affannato, Gino scende le scale per
poi risalirne altre e tornare di nuovo all'ufficio protocollo.
Il
modulo è compilato e controllato dai due impiegati, Gino vorrebbe abbracciarli.
Ora
cosa devo fare?
Semplice,
rispondono i due come gemelli siamesi, scendere al piano terra agli sportelli,
prendere il numero e consegnare la domanda quando sarà il suo turno.
Gino
ammutolisce.
Non
so come ringraziarvi. Riesce a sussurrare con voce spezzata.
Suvvia
non è nulla, fa il primo impiegato. Facciamo solo il nostro lavoro, aggiunge
giulivo il secondo.
Gino
torna al piano terra, attraversa l'atrio, entra nella sala d'attesa che nel
frattempo si è riempita per le attività pomeridiane e prende il numero: 32!
Guarda
il display che gli rimanda una triste verità, stanno passando l'utente numero
tre.
Gino
vede una sedia libera e ci si lascia andare sopra.
Ha
il giornale in tasca ma non ha forza per leggere. Guarda l'ora e scopre che
sono passate le quattro del pomeriggio.
Quando
Gino esce dall'edificio è stremato. Il cielo sta diventando buio.
Gino
si siede sui gradini in pietra davanti il grosso portone d'ingresso.
Poi
vede che sta passando un tizio con un cappotto e lo chiama.
Scusi,
credo che questo sia suo.
Gli
porge il giornale.
Ci
conosciamo? Chiede l'uomo.
Ci
siamo incontrati stamattina in questo palazzo.
L'uomo
lo guarda stranito. Ma lei sta uscendo ora! Ha passato la giornata li dentro?
Già.
Riesce solo a dire Gino.
Cosa
doveva presentare, qualcosa di veramente molto importante! Azzarda l'uomo col
loden verde.
No,
niente di speciale.
Un’autocertificazione
per avere una giornata di permesso dal lavoro, sa, stamattina era davvero una
giornata bellissima.
L'uomo
col loden verde guarda Gino con commiserazione.
Mi
stia bene. Buona sera.
Buona
sera a lei. Risponde Gino.
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