sabato 8 agosto 2020

Il riflesso










Era già capitato. 

Provò a non guardare e la cosa sembrò funzionare. Per poco. 

Il problema era che continuava a sentire lo sguardo addosso anche ora, nel box doccia, sotto il getto d’acqua. 

Il problema era uno… lo sguardo era il suo. 

Era già capitato, certo. Qualche mese prima. 

L’inverno doveva finire e c’erano ancora i saldi in Corso Buenos Aires, le vetrine invitavano a risparmiare comprando capi che solo un mese prima costavano il doppio. Lui non era tipo da cascarci facilmente ma gli piaceva lo stesso osservare la merce, fantasticare su un paio di scarpe nuove o immaginarsi con un completo firmato. Un pomeriggio grigio e freddo era rimasto davanti alla vetrina di un negozio elegante, quando le nuvole avevano fatto spazio a qualche raggio ostinato di sole e la luce improvvisa del pomeriggio si era riflessa sul vetro. Lui si era accovacciato per leggere il prezzo di un paio di stivaletti quando si accorse che dietro il vetro una sagoma d’uomo lo osservava. Una frazione di secondo dopo si accovacciò anche la sagoma e si accorse che l’altro non era che la sua immagine riflessa. 

Non ci aveva dato troppa importanza perché in sostanza non ci aveva creduto. 

Poi era capitato mentre si faceva la barba. Si studiava la gola e il mento appena rasati quando, spostando lo sguardo aveva visto la sua faccia che lo osservava con espressione seria, ancora completamente coperta dalla schiuma. Poi aveva strizzato gli occhi e tutto era tornato normale. 

Normale era una parola grossa. 

Non era più riuscito a specchiarsi senza provare angoscia. La barba era cresciuta e nel giro di due mesi cominciava ad arricciarsi provocando un fastidioso solletico sotto la gola. 

Anche lavarsi i denti era diventato un gesto penoso. 

Aver svitato le lampadine dello specchio poteva essere un rimedio efficace in bagno ma la sua immagine era rimasta in agguato in una moltitudine di altri posti. 

Per strada, andando al lavoro si era visto riflesso negli sportelli di vetro di un autobus di passaggio, completamente nudo ma quando aveva spostato gli occhi in basso, il suo vecchio giaccone, un po’ lercio e i suoi pantaloni grigi erano al loro posto. 

Quel giorno per sicurezza era tornato a casa e aveva detto al capo di non sentirsi molto bene. 

Il suo medico era un facilone, lo aveva trattato con sufficienza, compilando una serie di ricette con nomi difficili quali clomipramina, duloxetina, quetiapina, aloperidolo. Inoltre aveva prescritto esami del sangue e risonanze magnetiche che lui era ben lontano dal desiderare di fare. Inutile dire che non aveva preso niente. 

Un giorno, quando dall’altra parte della strada, da dietro la vetrina di un bar il suo se stesso aveva alzato una mano nella sua direzione mentre lui teneva in entrambe le mani le pesanti borse della spesa per poco non se l’era fatta addosso. Aveva ritelefonato al dottore e questi gli aveva passato il numero di un bravo psicologo. 

Ma quale psicologo, pensò con amarezza, qua ci vuole un esorcista. 

In casa viveva in pratica al buio, mangiava cibi confezionati ed evitava gli specchi che aveva accuratamente coperto. 

Forse aveva ragione il suo medico, avrebbe dovuto telefonare allo psicologo. 

Pensò di fare una doccia e mentre faceva scorrere via schiuma dalla schiena con il getto d’acqua, si era voltato solo un momento. Era bastato, nel vetro della cabina, la sua immagine frontale lo guardava e scuoteva la testa con un esplicito gesto che voleva dire: NO! 

Uscì dalla cabina ancora mezzo insaponato e corse in soggiorno a buttare il biglietto col numero dello specialista. 

Non avrebbe telefonato a nessuno. 

Era tornato in bagno e aveva riavvitato la luce sullo specchio. Poi si era sforzato di osservare ma quello che vide era solo la sua faccia spaventata e pallida. Forse è finita, si disse. Riprovò due, tre, dieci volte ma niente, tutto ciò che successe, non era altro che quello che ci si poteva aspettare in ogni bagno di ogni casa, il suo riflesso che ripeteva a rovescio ogni espressione d’incredula speranza. Fu così che decise di tagliarsi quel ridicolo barbone che lo invecchiava di dieci anni. Aprì il rubinetto dell'acqua calda e riempì il lavandino. Lo specchio si appannò completamente. 

Prendere il rasoio dal cassetto richiese mezzo secondo ma fu sufficiente. 

La scritta sullo specchio era implacabile. 

NON TI LASCERO’ MAI 



Non era finita e non sarebbe finita mai. 

Non cercò le cause per quel fenomeno, motivi ne aveva, sensi di colpa per il male fatto, questioni lasciate in sospeso, persone abbandonate e maltrattate, non era uno stinco di santo. Forse meritava quell’orrore. 

Non pensò a nulla mentre la lama incideva la pelle e l’ultima cosa che vide, mentre il sangue sgorgava e il buio lo circondava, fu la sua faccia riflessa nello specchio. 

Sorrideva. 

Poi tutto finì e il riflesso si dissolse. 









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