lunedì 28 maggio 2018

Tre stanze












Il tempo sta per cambiare. Il cielo è d’improvviso virato al nero. Già si sente lontano il rombo profondo e prolungato di un temporale.

Nonostante questo Duccio suda, ci saranno ventotto gradi ma è l’umidità che lo soffoca.

Giunto a destinazione suona il campanello e attende.

Nessuno viene ad aprire.

Strano, Alberto sapeva della sua visita, ne avevano parlato in ufficio.

Duccio guarda il cielo che sembra volergli cadere addosso e intrappolarlo come una nera coperta farebbe con un gattino.

Mentre si chiede se ci sia qualcuno in casa, la serratura scatta. Duccio entra in un lungo corridoio ma non vede nessuno.

“Duccio, accomodati pure, noi scendiamo…”

Lui avanza cauto, sulla destra vede un salottino, entra e si siede con la borsa dei progetti sulle gambe.

“... dai ciccina, dobbiamo lavorare…”, “...si amoruccio, ora ti lascio in pace ma dopo sei tutto mio…”.

La coppia appare finalmente alla vista di Duccio che fa per alzarsi.

“ciao Duccio, ti aspettavo più tardi… dai ciccina, lasciami i capelli…”.

“Veramente sarei in ritardo” sta per dire lui ma è coperto dalla risata cristallina della ragazza “Fate presto con il vostro lavoro, sai che non resisto lontana da te…”.

Duccio per vincere un po’ l’imbarazzo tira fuori dalla borsa un plico di fogli.

La ragazza di Alberto non accenna ad allontanarsi anzi si siede sul bracciolo del divano. E siccome indossa solo una camicia, mette in evidenza un lunghissimo paio di splendide gambe.

Duccio riprende a sudare.

Poi mostra un foglio al collega. “Pensavo, se sei d'accordo, di cominciare la nostra presentazione da qui…”.

Alberto prende il foglio con la mano che trema e inizia a sussultare dal solletico perché donna ha iniziato a lavorargli un orecchio con la lingua.

Alberto oppone una fiera resistenza. “Mi sembra una buona idea ma sarebbe meglio il d-disegno a co..co..coloriiii….” poi cede, si tira addosso la ragazza che stropiccia il foglio col suo corpicino e si mette a farle il solletico.

“Sei una birichina, lo sai che dobbiamo finire il lavoro…”.

“Amoruccio…”

“Ciccina…”

Duccio cerca di recuperare il foglio che resta incastrato tra corpi e inzuppato di ormoni.

I due, avvinghiati sul divanetto ormai fanno come se non ci fosse.

Alberto ci prova: “Per me il progetto va bene così e domani… no amoruccio... su dai… possiamo presentarlo in direzione così com’è…”.

“Sei un gattone arrabbiato…” conferma lei professionale. “Fammi vedere che verso fai… micione…”

Duccio rinuncia al suo progetto ormai semidistrutto dall’amore dei due.

Si alza, si sistema il colletto, recupera la borsa da lavoro e si dirige al corridoio.

Giunto alla porta saluta “ciao micione, buonasera ciccina!”

Ma i due ormai rotolano sul tappeto e non lo degnano di risposta.



Alcune pesanti gocce di pioggia raggiungono Duccio prima che sia arrivato al secondo indirizzo.

Un altro collega da visitare. Pensa: “Speriamo bene…”

Suona in campanello, una, due, poi tre volte. Sta per girarsi e andarsene contrariato ma una voce dalla finestra del secondo piano lo ferma.

“Scusa, ero sotto la doccia e non sentivo il campanello” gli accenna Bruno poco convinto. Poi gli dice di accomodarsi in salotto.

Duccio vorrebbe anche accomodarsi ma su ogni sedia c’è una pila di qualcosa, qua vecchi quotidiani, là libri tascabili, poi camicie da stirare oppure dischi impolverati. Vede una sedia che sembra libera ma si accorge appena in tempo che un gatto grigio ci sta dormendo sopra…

Anche il tavolo è ingombro di roba, avanzi della colazione del mattino, quaderni e fogli di ogni genere e misura, tovaglioli, bicchieri usati, disegni infantili, penne e pennarelli. Duccio rinuncia a sedere e a poggiare i progetti da qualche parte.

Bruno fa capolino e gli grida: “Siedi e prepara i progetti, sto arrivando…” poi lo sente rivolgersi alla moglie “Dove hai messo il mio telefono?”

“Cosa ne so del tuo telefono” è la seccata risposta di lei.

“Non sai mai niente!”

“Tu piuttosto, dovevi accompagnare i bambini in piscina, non ti mettere a perdere tempo col tuo collega!” “ Ti ho già detto che non posso, dobbiamo lavorare…”.

“Sei sempre il solito, mai che pensi ai tuoi figli! Lavorare dice… ma se non lavori nemmeno in ufficio, figurati se ora ti metti a lavorare in casa!”.

Le voci crescono in volume e il tono aumenta l’acidità.

“Duccio, ti ho detto di accomodarti!”

Duccio guarda il gatto che continua a dormire.

Da lontano lei urla: “Non m’interessa cosa devi fare, oggi porti tu i bambini in piscina!”

Da più vicino Bruno ribatte: “Certo, così tu puoi andare in giro con quella gallina della tua amica!”

Poi entra in salotto e senza degnare il collega di uno sguardo si mette a rovistare in quel bazar che si è formato sul tavolo.

“Ecco dov’era il mio telefono…”

Poi uscendo dal salotto grida all’indirizzo di Duccio: “Ancora in piedi? Ma sei venuto per i progetti o cosa?”

E mentre i due coniugi riprendono a litigare, Duccio prende la borsa ed esce in silenzio.



Cosimo apre la porta dopo il primo scampanellio.

“Ciao Duccio. Ti stavo aspettando.”

Lui entra cauto, si siede su un divanetto e apre i progetti disponendoli sulle gambe bene in vista.”

“Ti ruberò poco tempo…”

Ma Cosimo è già sparito su per le scale.

Passano cinque minuti. Silenzio.

Dal nulla appare una donna. “Buon giorno” gli dice.

Lui risponde al saluto “Buon giorno, io sono il collega di…” ma lei gli volta le spalle e scompare dietro una porta.

Altri cinque minuti di silenzio.

Duccio vorrebbe chiamare Cosimo per chiudere quel bizzarro pomeriggio di lavoro ma decide di aspettare.

Cosimo scende le scale e gli fa un cenno con la mano, come a dire di avere pazienza. Poi entra nella stanza in cui si era infilata la donna. Vi escono assieme e riprendono le scale, lui avanti e lei dietro.

Duccio è sempre più sconcertato.

Finalmente Cosimo scende e si avvicina al collega, prende i fogli in mano e li osserva con insolito interesse. “Ecco il progetto che dobbiamo presentare domani, lo sai che ne va del nostro futuro?”

In realtà è una domanda retorica perché subito lancia i fogli sul divano e sospirando esce dalla stanza.

Silenzio.

Poi Duccio sente una porta che sbatte, fuori un motore che si avvia e il rumore di un’auto che si allontana.

Dopo qualche minuto entra la donna che lo guarda sorpresa e gli dice “Lei è ancora qui? Pensavo se ne fosse andato…”

“Scusi, ora prendo le mie cose e tolgo il disturbo.”

Lei lo osserva con un’espressione poco decifrabile. “Si figuri, nessun disturbo, anzi, se vuole fermarsi a bere qualcosa…”.

“N-no g-grazie… si è fatto tardi… devo proprio andare… e poi piove…”.

Uscendo non si volta ma sente lo sguardo di lei bruciargli sulla nuca.



Ora piove con insistenza. Duccio si dirige alla fermata della metro, si sta bagnando e non ha neppure recuperato le copie di quel progetto che dovrà presentare domani assieme a quegli strampalati dei suoi colleghi.



Pensa alle tre stanze dove è stato e alla vita che si sta consumando dentro.



Il loro progetto fa schifo, chissà se valga davvero la pena preoccuparsene…












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