martedì 15 maggio 2018

L'uomo che aveva perso i colori










La strada percorsa è la stessa da dieci giorni a questa parte, due fosche corsie per senso di marcia.
Ombrosi viali soffocati dai rami di invadenti querce. Un guazzabuglio di traffico fumoso e un groviglio di auto strombazzanti e moleste. 
Una città cupa e opprimente.

Dino guida piano, tanto non ha fretta. Parte presto la mattina e ha tutto il tempo per arrivare.
Le vie buie si dipanano davanti al muso affilato della sua auto che taglia lo smog in due parti uguali. Dino accende i fari insufficienti a contrastare l’oscurità che lo circonda. L’aria non è mai stata così grigia.

Il parcheggio dell’ospedale è pieno, come sempre, ma lui cerca con calma. Segue un tipo che ha le chiavi in mano e s’infila al suo posto quando questo se ne va.
Spegne il motore e rimane cinque lunghi minuti a fissare il cielo plumbeo.
D’improvviso esce dalla trance e scende dall’auto.
Conosce il percorso a memoria, ormai non legge nemmeno più i cartelli e le indicazioni. Entra dal piano sotterraneo, un antro tetro, odore di muffa e cartoni bagnati ma almeno scansa di incontrare una fastidiosa folla che sciama in attesa di fare visite, subire esami, pagare ticket, chiedere informazioni. Esseri brulicanti e pruriginosi come formiche.
Dino evita l’ascensore, claustrofobico strumento di tortura per chi non si sente pronto a contatti sociali. Imbocca una scura scala male illuminata da un freddo neon che funziona a intermittenza. Sale i quattro piani, percorre un polveroso corridoio e si dirige verso la solita panca in una sala d’attesa.
Si siede e aspetta con le mani in mano. Dall’angolo del soffitto pende una nera ragnatela, Dino la studia con attenzione.
Dalla finestra si spande una luce lattiginosa.

Dopo dieci minuti il ronzio elettrico dell’apriporta lo fa sobbalzare sulla panca. Dino alza lo sguardo d’istinto, l’ingresso col vetro opaco della Rianimazione si apre e ne esce un’infermiera dalla divisa stropicciata.
Dino la riconosce, l’ha già vista tante volte nei giorni passati in ospedale, ci ha parlato alcune volte.
Gli è sembrata una donna sciatta, anonima, stanca delle tragedie e appesantita dai turni.
Oggi però gli appare diversa, Dino non capisce perché ma percepisce qualcosa di nuovo, gli sembra ringiovanita, luminosa, forse attraente.

L'infermiera lo vede e va a sedersi sulla panca.
Lei poggia una mano su quelle dell’uomo, un gesto d’intimità che fino al giorno prima lui non avrebbe tollerato.
Lo fissa e parla:
“Il dottore non vorrebbe ma ci tenevo a informarti che tua figlia si è svegliata. Le condizioni stanno migliorando. Capisci cosa ti sto dicendo?”
Lui non risponde, certo che ha capito, ma è attratto da un particolare. La divisa dell’infermiera è bianca e ha delle bande di stoffa rossa cucite sulle tasche, strano, non ci aveva fatto caso.
Lei insiste: “Tra venti minuti apriremo l’accesso, potrai finalmente vederla!” Lo dice con una lacrima che le scorre sulla guancia ma Dino non se ne accorge, lui è ancora con lo sguardo fisso sulle tasche della divisa di lei.
Poi l’infermiera si soffia il naso, si alza e torna alle sue incombenze.

Dino rimane solo.
Si alza anche lui e si dirige verso la finestra.
Non aveva mai guardato fuori prima d’ora.
Il riverbero della luce sulla superficie del fiume lo abbaglia, i raggi del sole fanno scintillare le foglie di un verde carico. L’azzurro del cielo è così intenso che gli ferisce gli occhi.

Forse è per questo che gli si riempiono di lacrime.









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