sabato 5 ottobre 2024

La strage azzurra

 





Nel vicolo echeggia un ululato ultrasonico.

“Ciiiiiirooooooooo, Ciro miooooooo!!!”

Due cani sollevano il muso dal sacchetto dei rifiuti, alzano le orecchie e scappano spaventati.

L’invocazione è seguita da strepitii e lamenti, nella migliore tradizione della tragedia greca. Il Ciro in questione è un ragazzone di centoventi chili, che resta immobile nel suo letto nonostante le grida dell’anziana genitrice. Ciro usa dormire con una maglietta del Napoli calcio, che gli sta pure stretta. Gli stava, dovremmo dire, perché Ciro è morto.

Dall’altra parte del quartiere, in fondo alla via, per essere precisi, un urlo uguale in tutto e per tutto al primo sale dalle finestre di un basso, uguale tranne che per il nome che in questo caso è Pasquale.

Anche Pasquale non risponde. Anche Pasquale è morto.

Tutto il quartiere è svegliato da un concerto di grida strazianti e straziate. Presto le grida sono sostituite dal suono dei clacson di chi, spinto dalla disperazione, ha caricato i corpi di figli, mariti, zii, genitori, nelle vecchie auto e, incurante del traffico già intasato di prima mattina, delle buche, dell’assicurazione scaduta e soprattutto incurante di quanto sia morto il passeggero sul sedile posteriore, cerca disperatamente di arrivare al primo ospedale per rimediare al malanno.

Quasi tutte le salme trasportate indossano una maglia del Napoli calcio, tutti sono sovrappeso.

Solo al Cardarelli, il più grande nosocomio del mezzogiorno, giungono cadavere ventinove Maradona, undici Bruscolotti, sedici Hamsik, sei Insigne, quattro Juliano, un Ferrara e un Cannavaro. I conti precisi li ha fatti un portantino dall’alito agghiacciante, che ha catalogato tutti i capi di vestiario, con la speranza di guadagnare qualcosa extra.

Una strage.

La strage azzurra”, intitoleranno il giorno seguente i quotidiani nazionali, dimostrando la loro pochezza in fatto di fantasia.

Dopotutto non è colpa loro se la gente ha l’esecrabile abitudine di dormire con la maglietta del proprio idolo calcistico. Soprattutto qui a Napoli.

La strage azzurra fa diventare matto il questore, che non sa che pesci pigliare e se la prende col vicequestore, che sbraita col commissario che maltratta i poliziotti che urlano insulti in faccia agli informatori che schiaffeggiano i piccoli spacciatori che vanno a presidiare il pronto soccorso e quando esce il portantino sono pronti a minacciarlo di morte, anche perché indossa il famoso numero “10” e sospettano che non sia stata acquistata in uno store ufficiale.

La scientifica è al lavoro e l’anatomopatologo, che deve asciugare le lacrime ogni venti secondi, non perché sia sensibile, è pure Juventino, ma per una forma d’allergia, è oberato e sa che farà le ore piccole, anzi, che lavorerà tutta la notte.

Il questore ce l’ha a morte con me, per ragioni di tifo calcistico, e trova sempre il modo di farmela pagare, si lamenta il medico legale con il suo aiutante ma non riceve conforto e considerazione da quest’ultimo, poiché anche lui dorme con una maglia della nazionale Belga, quella di Mertens!

Per qualche giorno la città è nel caos assoluto.

Negozi chiusi, traffico paralizzato. Gli incidenti raddoppiano e scoppiano tumulti. Il sindaco proclama il lutto cittadino ma i funerali non si possono fare. Tutto rimandato finché qualcuno non ci capisce qualcosa.

Dopo tre giorni anche i capi Ultras della tifoseria, si muovono. Con la consueta grazia del classico elefante nella celebre cristalleria.

Muovono alla testa di decine di migliaia di bravi ragazzi, ed esigono una spiegazione. Perché sono morti tutti quei valenti tifosi, perché non sono morti i rappresentanti delle altre squadre di calcio?

Queste ultime, piccate dalle dichiarazioni ostili e insinuanti, rilanciano accuse e minacciano vie legali, il clima in tutto il paese è avvelenato.

A questo punto l’anatomopatologo ha un’illuminazione. Clima avvelenato uguale tifoso avvelenato.

E ci azzecca!

Viene trovata, grazie all’invio di campioni si sangue e tessuti a un costosissimo laboratorio di Dallas, U.S.A. una sostanza chimica liposolubile, neutra se ingerita ma potenzialmente letale se prima è sciolta in acqua bollente.

Trovata la causa di morte, quello che non capisce il questore è perché solo i tifosi del Napoli.

L’agente scelto Esposito sapendo di essere l’ultima ruota del carro, ne parla con sua moglie fidandosi poco dei colleghi. “Intanto, in città è difficile trovare anche solo uno che dorma con la maglia dell’Inter, sai che scandalo in caso di emergenza notturna? Poi mi chiedo una cosa? Sto veleno, che per essere velenoso, deve essere bollito, come fai a farlo prendere a qualcuno senza che se ne accorga?”

La signora Esposito, che fino a quel momento non era molto interessata, s’illumina.

“Io saprei come fare!”

Esposito non sa se essere orgoglioso della moglie o preoccupato, ma la soluzione della donna lo impressiona.

Corre dal Commissario che chiama il Vicequestore che informa immediatamente il Questore.

Esposito si trova, convocato, a balbettare la soluzione della sua signora e ha una maledetta paura di perdere il posto.

“Come nel caffè? Tutti beviamo il caffè, e come ce l’avrebbero messo il veleno nel caffè, secondo lei agente Esposito?”

Esposito sente il coraggio alimentato dall’arroganza di quel superiore così potente e così incapace. Sente di averlo in mano e smette di balbettare.

“La sostanza, sappiamo che è innocua se ingerita, giusto? Ma se la facciamo bollire, diventa pericolosa, giusto? Allora mia moglie ha detto che lei la metterebbe nell’acqua per fare il caffè, sul fuoco il veleno si attiva e quando ci beviamo la nostra tazzina, anzi tante tazzine, il veleno agisce dentro il nostro corpo!”

Il questore riflette in silenzio. Poi obietta.

“E perché non siamo morti tutti quanti?”

“Basta chiedere quante tazze erano soliti consumare quelli che sono morti, io per esempio ne bevo tre al giorno ma ci sta chi ne beve pure venti!”

“E il veleno? Dove stava?”

“Nell’acquedotto, sempre secondo mia moglie” risponde timido Esposito.

Il questore sembra convinto, ordina al commissario di procedere e prima di sbattere fuori dal suo ufficio tutti quanti, da un’ultima indicazione all’agente:

“La proporrò per una promozione e, stia attento a non litigare mai con sua moglie.”

Le indagini dureranno qualche settimana ma nessuno riuscirà a capire chi ha potuto versare la sostanza nelle riserve idriche.

Nessun indizio, nessun movente, nessun colpevole per la strage azzurra.

Alla fine anche i giornali spostano su altro l’attenzione.

Esposito è promosso a vice Sovrintendente.

Il portantino fa un sacco di soldi, vendendo all’asta le storiche magliette.

Gli ultras, ricominciato il campionato, hanno altro cui pensare.

Negli uffici periferici dell’azienda gestore delle acque potabili, Alberico Rota, un piccolo impiegato con la faccia da topolino, gli occhiali tondi e una lieve zoppia, apre con la chiave l’ultimo cassetto della scrivania e controlla che nessuno abbia rovistato tra le sue cose.

Tutto a posto.

Le fiale vuote di plastica stanno li, dove le ha nascoste, sotto la maglietta stirata e piegata dell’Atalanta calcio.

Richiude a chiave il cassetto e sorridendo cattivo se ne va in bagno.

 

 

 

 

 


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