Nel vicolo echeggia un
ululato ultrasonico.
“Ciiiiiirooooooooo,
Ciro miooooooo!!!”
Due cani sollevano il
muso dal sacchetto dei rifiuti, alzano le orecchie e scappano spaventati.
L’invocazione è seguita
da strepitii e lamenti, nella migliore tradizione della tragedia greca. Il Ciro
in questione è un ragazzone di centoventi chili, che resta immobile nel suo
letto nonostante le grida dell’anziana genitrice. Ciro usa dormire con una
maglietta del Napoli calcio, che gli sta pure stretta. Gli stava, dovremmo
dire, perché Ciro è morto.
Dall’altra parte del
quartiere, in fondo alla via, per essere precisi, un urlo uguale in tutto e per
tutto al primo sale dalle finestre di un basso, uguale tranne che per il nome
che in questo caso è Pasquale.
Anche Pasquale non
risponde. Anche Pasquale è morto.
Tutto il quartiere è
svegliato da un concerto di grida strazianti e straziate. Presto le grida sono
sostituite dal suono dei clacson di chi, spinto dalla disperazione, ha caricato
i corpi di figli, mariti, zii, genitori, nelle vecchie auto e, incurante del
traffico già intasato di prima mattina, delle buche, dell’assicurazione scaduta
e soprattutto incurante di quanto sia morto il passeggero sul sedile
posteriore, cerca disperatamente di arrivare al primo ospedale per rimediare al
malanno.
Quasi tutte le salme
trasportate indossano una maglia del Napoli calcio, tutti sono sovrappeso.
Solo al Cardarelli, il
più grande nosocomio del mezzogiorno, giungono cadavere ventinove Maradona,
undici Bruscolotti, sedici Hamsik, sei Insigne, quattro Juliano, un Ferrara e
un Cannavaro. I conti precisi li ha fatti un portantino dall’alito
agghiacciante, che ha catalogato tutti i capi di vestiario, con la speranza di
guadagnare qualcosa extra.
Una strage.
“La strage azzurra”, intitoleranno il giorno seguente i quotidiani
nazionali, dimostrando la loro pochezza in fatto di fantasia.
Dopotutto non è colpa
loro se la gente ha l’esecrabile abitudine di dormire con la maglietta del
proprio idolo calcistico. Soprattutto qui a Napoli.
La strage azzurra fa diventare matto il questore, che non sa che pesci
pigliare e se la prende col vicequestore, che sbraita col commissario che
maltratta i poliziotti che urlano insulti in faccia agli informatori che
schiaffeggiano i piccoli spacciatori che vanno a presidiare il pronto soccorso
e quando esce il portantino sono pronti a minacciarlo di morte, anche perché
indossa il famoso numero “10” e sospettano che non sia stata acquistata in uno store ufficiale.
La scientifica è al
lavoro e l’anatomopatologo, che deve asciugare le lacrime ogni venti secondi,
non perché sia sensibile, è pure Juventino, ma per una forma d’allergia, è
oberato e sa che farà le ore piccole, anzi, che lavorerà tutta la notte.
Il questore ce l’ha a
morte con me, per ragioni di tifo calcistico, e trova sempre il modo di farmela
pagare, si lamenta il medico legale con il suo aiutante ma non riceve conforto
e considerazione da quest’ultimo, poiché anche lui dorme con una maglia della
nazionale Belga, quella di Mertens!
Per qualche giorno la
città è nel caos assoluto.
Negozi chiusi, traffico
paralizzato. Gli incidenti raddoppiano e scoppiano tumulti. Il sindaco proclama
il lutto cittadino ma i funerali non si possono fare. Tutto rimandato finché
qualcuno non ci capisce qualcosa.
Dopo tre giorni anche i
capi Ultras della tifoseria, si muovono. Con la consueta grazia del classico
elefante nella celebre cristalleria.
Muovono alla testa di
decine di migliaia di bravi ragazzi, ed esigono una spiegazione. Perché sono
morti tutti quei valenti tifosi, perché non sono morti i rappresentanti delle
altre squadre di calcio?
Queste ultime, piccate
dalle dichiarazioni ostili e insinuanti, rilanciano accuse e minacciano vie
legali, il clima in tutto il paese è avvelenato.
A questo punto
l’anatomopatologo ha un’illuminazione. Clima avvelenato uguale tifoso
avvelenato.
E ci azzecca!
Viene trovata, grazie
all’invio di campioni si sangue e tessuti a un costosissimo laboratorio di
Dallas, U.S.A. una sostanza chimica liposolubile, neutra se ingerita ma potenzialmente letale
se prima è sciolta in acqua bollente.
Trovata la causa di
morte, quello che non capisce il questore è perché solo i tifosi del Napoli.
L’agente scelto
Esposito sapendo di essere l’ultima ruota del carro, ne parla con sua moglie
fidandosi poco dei colleghi. “Intanto, in città è difficile trovare anche solo
uno che dorma con la maglia dell’Inter, sai che scandalo in caso di emergenza
notturna? Poi mi chiedo una cosa? Sto veleno, che per essere velenoso, deve
essere bollito, come fai a farlo prendere a qualcuno senza che se ne accorga?”
La signora Esposito,
che fino a quel momento non era molto interessata, s’illumina.
“Io saprei come fare!”
Esposito non sa se
essere orgoglioso della moglie o preoccupato, ma la soluzione della donna lo
impressiona.
Corre dal Commissario
che chiama il Vicequestore che informa immediatamente il Questore.
Esposito si trova,
convocato, a balbettare la soluzione della sua signora e ha una maledetta paura
di perdere il posto.
“Come nel caffè? Tutti
beviamo il caffè, e come ce l’avrebbero messo il veleno nel caffè, secondo lei
agente Esposito?”
Esposito sente il
coraggio alimentato dall’arroganza di quel superiore così potente e così
incapace. Sente di averlo in mano e smette di balbettare.
“La sostanza, sappiamo
che è innocua se ingerita, giusto? Ma se la facciamo bollire, diventa
pericolosa, giusto? Allora mia moglie ha detto che lei la metterebbe nell’acqua
per fare il caffè, sul fuoco il veleno si attiva e quando ci beviamo la nostra
tazzina, anzi tante tazzine, il veleno agisce dentro il nostro corpo!”
Il questore riflette in
silenzio. Poi obietta.
“E perché non siamo
morti tutti quanti?”
“Basta chiedere quante
tazze erano soliti consumare quelli che sono morti, io per esempio ne bevo tre
al giorno ma ci sta chi ne beve pure venti!”
“E il veleno? Dove
stava?”
“Nell’acquedotto,
sempre secondo mia moglie” risponde timido Esposito.
Il questore sembra
convinto, ordina al commissario di procedere e prima di sbattere fuori dal suo
ufficio tutti quanti, da un’ultima indicazione all’agente:
“La proporrò per una
promozione e, stia attento a non litigare mai con sua moglie.”
Le indagini dureranno
qualche settimana ma nessuno riuscirà a capire chi ha potuto versare la
sostanza nelle riserve idriche.
Nessun indizio, nessun
movente, nessun colpevole per la strage azzurra.
Alla fine anche i
giornali spostano su altro l’attenzione.
Esposito è promosso a vice
Sovrintendente.
Il portantino fa un
sacco di soldi, vendendo all’asta le storiche magliette.
Gli ultras,
ricominciato il campionato, hanno altro cui pensare.
Negli uffici periferici
dell’azienda gestore delle acque potabili, Alberico Rota, un piccolo impiegato
con la faccia da topolino, gli occhiali tondi e una lieve zoppia, apre con la
chiave l’ultimo cassetto della scrivania e controlla che nessuno abbia
rovistato tra le sue cose.
Tutto a posto.
Le fiale vuote di
plastica stanno li, dove le ha nascoste, sotto la maglietta stirata e piegata
dell’Atalanta calcio.
Richiude a chiave il
cassetto e sorridendo cattivo se ne va in bagno.
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