Avete presente quelle
persone che sono in grado di comprendere la personalità di un estraneo già a
prima vista?
Dante non è una di
queste.
Certo, anche lui ha le
sue buone capacità. È in grado di percepire a pelle, quando qualcuno gli ispira
simpatia, persino fiducia. O al contrario se qualcuno ha una pessima aura e
quando entra in un luogo la temperatura si abbassa di una decina di gradi.
Il problema è che se
uno gli ispira fiducia, lui poi questa fiducia la investe sul serio.
Da bambino questa
caratteristica gli fece patire qualche pena.
All’età di sette anni prestò
non si sa quante scatole di soldatini da collezione, al ragazzino dell’ultimo
piano, si capisce, quando i bambini giocano assieme, si deve condividere il
gioco, questo gli era stato insegnato.
Ma quando si accorse
che, trascorse alcune settimane, i soldatini non facevano ritorno nella loro
scatola sulla mensola, la cosa iniziò a dargli un certo fastidioso
prurito.
Lui si fidava
dell’amichetto dell’ultimo piano e decise di concedergli del tempo.
Solo che poi l’amico,
assieme ai suoi genitori, aveva traslocato e dei soldatini era rimasto un vasto
cimitero di croci che Dante aveva disegnato col pennarello sul plastico, come
per giustificarne l’assenza agli altri commilitoni sopravvissuti. Passò
una notte a piangere la perdita di quei preziosi elementi ma di più gli
bruciava la fregatura patita dal vecchio compagno di giochi.
Anni dopo, in pieno
caos adolescenziale, iniziò a frequentare Fabio, un controverso elemento, un
tipo carismatico ed esuberante. Fabio era il giovane ripetente della terza C, si
faceva già la barba da qualche tempo e andava forte con le ragazzine, fumava puzzolenti
sigarette senza filtro e non aveva paura nemmeno del preside. Dante, come del
resto tutti i suoi compagni, lo ammirava e gli invidiava certe caratteristiche.
Lo spirito di emulazione gli era costato un furioso litigio con la madre e,
peggio ancora, il divieto di partecipare alla gita scolastica.
Dante si era detto che
non gli importava di quella gita di ragazzini, che anche Fabio non ci sarebbe
andato, ma tutto questo somigliava all’uva acerba per la volpe.
Passò la gita e Dante
ebbe il tempo per meditare. Gli passò per fortuna anche l’entusiasmo per Fabio
il bullo, e non rimase che la tristezza per la sua scarsa capacità di capire le
persone.
Capire chi si ha
davanti non è facile, si diceva, ci vuole tempo e per rendere le cose difficili
molti non sono davvero come si sforzano di apparire.
Nonostante questo
barlume di maturità, Dante continuò a fidarsi delle persone che incontrava.
Della compagna di banco
al liceo, di cui si era perdutamente innamorato e che lei ricambiava facendosi
passare sottobanco le soluzioni di equazioni e le traduzioni dall’inglese.
Del suo amico che trascorreva
i pomeriggi a casa sua divorando tutto ciò che trovava nel frigo.
Dell’insegnante di
ginnastica che lo aveva incoraggiato a partecipare a durissimi allenamenti di
atletica, con la promessa di portarlo alle gare nazionali, per poi leggere sul
comunicato il nome di un altro.
Insomma Dante diventò
adulto coltivando in sé un nodo di cinismo e disincanto che difficilmente si
sarebbe sciolto.
Non ci si può fidare di
nessuno, era diventato il suo mantra e questo lo aiutava a costruirsi una
corazza di distacco e a non soffrire.
Un giorno, era uscito
in pausa e si stava recando al solito bar per un tramezzino, non si accorse
dell’auto che sopraggiungeva e che lo travolse, facendogli volare zaino e
ombrello e lasciandolo sull’asfalto privo di coscienza.
Qualcuno chiamò un’ambulanza
e lui si risvegliò il giorno dopo, con un gran mal di testa e una gamba
ingessata.
Sua madre, che lo aveva
vegliato, fu felice e gli spiegò quello che era successo.
Non erano stati in
grado di ritrovare i suoi documenti ma nel bar sapevano chi fosse e dove
lavorasse.
Sconosciuti erano stati
vicini a sua madre e l’avevano tranquillizzata e sostenuta. I medici
confermarono che Dante non era in pericolo e presto sarebbe stato dimesso.
Dante sopportava il
dolore della frattura, meno quello per la scomparsa del suo zaino. Dentro c’era,
oltre ai documenti, il PC portatile, da cui non si separava mai e qualcuno lo
aveva rubato.
Le pozzanghere
osservate dalla finestra della sua camera, avevano il colore del fango.
All’improvviso, un
estraneo bussò alla porta e sporse la testa.
- Cerco Dante, il
giovane investito qualche giorno fa.
- Chi è lei, cosa
vuole?
Dante si rese conto
della sua maleducazione, ma non riusciva a smettere di pensare a quelle
pozzanghere di fango e a quando fosse brutta la vita.
- Scusi, mi hanno detto
che l’avrei trovata qui. Le ho portato questo.
E dicendolo tirò fuori
da una borsa il suo zaino, sporco e lacerato. Dentro i suoi documenti e
soprattutto il suo portatile.
Dante non sapeva cosa
dire.
L’estraneo continuò
timidamente.
- Dopo il suo incidente
è rimasto sul marciapiede e ho pensato di prenderlo per
evitare che qualcuno lo rubasse. Poi non è stato facile capire dove
consegnarlo, con questa mania della privacy… ma alla fine sono riuscito a
sapere che era stato ricoverato e così eccomi qui.
Dante se ne rimaneva
inebetito sulla sua sedia a rotelle, col gambone avvolto dal gesso. La prima
impressione, vedendo quell’estraneo, con quei capelli legati da un elastico e
la barba lunga e nera, non era stata positiva. Si rilassò e invitò l’uomo ad
avvicinarsi alla finestra. Il tizio si avvicinò chiedendosi il perché.
- Le vede le pozzanghere?
- Sì, rispose l’uomo,
Ha piovuto molto stamattina.
- Come le sembrano?
Insistette Dante, che doveva sembrare un matto.
- Piene di acqua
sporca. Rispose paziente l’uomo.
- Se guarda bene, oltre
l’acqua sporca, vedrà altro.
Le pozzanghere
riflettevano la luce di un cielo tornato sereno e, pensava Dante, non erano mai
state così azzurre.
L’uomo si disse d’accordo.
Non è prudente fermarsi a un primo sguardo, come a un giudizio affrettato.
Sorrise e pensò che quel matto ingessato non fosse poi così male.
Dante capì in quel
momento che anche su una pozzanghera di fango può specchiarsi un pezzo di cielo
limpido.
E la vita non gli sembrò
più così brutta.
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