sabato 10 febbraio 2024

La spia sul cruscotto

 





 

Berni stava disteso, più pallido del lenzuolo stesso, con le guance incavate e gli occhi chiusi. A guardare bene sembrava avere le palpebre appena separate, come chi dorme profondamente o chi è morto.

In effetti, sembrava di guardare un morto.

Stefano rabbrividì a quel pensiero, ma non avrebbe saltato un appuntamento con il suo amico o almeno quel che restava.

Il vetro della rianimazione era pulito, come tutto il resto, Stefano ci aveva appoggiato il palmo della mano ma Bernardo non poteva muoversi, non avrebbe potuto farlo nemmeno se non fosse stato in coma, collegato com’era a tutti quei tubi, cavi elettrici, cateteri. Stefano avvertì sulla pelle solo il freddo del vetro e una sensazione di solitudine.

Pensare che ci avevano scherzato sopra solo poche settimane prima.

“Io il dolore lo sopporto benissimo, da uomo, e non è vero quello che si dice in giro, che a noi maschi basti un taglietto sul dito per farci piangere!” Bernardo non ne voleva sapere di ragionare. L’amico provò a convincerlo del contrario, a dirgli che sarebbe stato opportuno farsi visitare, fare degli esami.

“Per diventare una cavia da laboratorio?” Bernardo lo aveva zittito, sull’argomento non c’era discussione possibile. Poi, per dargli un contentino, erano andati alla farmacia sotto casa di Stefano, dove Berni aveva acquistato degli integratori di magnesio e delle vitamine. “Vedrai che con questi, nel giro di due settimane mi sentirò come un leone”.

Stefano ripensò alle parole dell’amico e quasi sorrise da dietro il vetro.

Un leone attaccato a un respiratore.

Stefano aveva anche provato con una similitudine.

“Avevo una vicina, un giorno sulle scale mi disse che era comparsa una spia sul cruscotto dell’auto, che tipo di spia le chiesi e lei mi aveva risposto, non saprei, gialla con un disegnetto nel centro, allora le avevo consigliato di portare subito l’auto in un’officina meccanica ma lei aveva obiettato che l’auto girava bene e non faceva alcun rumore strano. Dopo una settimana, incrociandomi sulle scale di casa, mi aveva confessato, vergognandosi molto, di aver fuso il motore, che aveva dovuto chiamare il carro attrezzi e le sarebbe costato un patrimonio riparare il danno. Voleva scusarsi con me per non avere dato credito al mio consiglio”, Stefano e Bernardo erano amici dalle elementari e Berni era stato sempre un testone. Probabilmente ci avrebbe anche riflettuto ma la vecchina della farmacia aveva cancellato ogni possibilità.

Erano in coda, Bernardo con la scatola dell’integratore al magnesio in mano e il suo dolorino da niente tra le costole, quando sentirono lo scambio tra la vecchina e la dottoressa.

“Avrebbe dei fermenti lattici per la mia pancia? Mi dia quelli forti per favore.” Era stata la richiesta della vecchina.

La farmacista le aveva mostrato due scatole uguali: “Vuole questa da due miliardi o quella da quattro miliardi?”

“Non sono un po’ troppo cari?” Era stata la risposta seccata della signora alla quale Stefano e Bernardo non erano riusciti a fermare le grasse risate che erano continuate sin fuori del negozio. Il buonumore aveva cancellato la drammaticità e l’efficacia del racconto sulla spia e sul motore fuso.

In fondo il dolore è proprio una spia sul cruscotto, che ci sta avvisando che qualcosa non funziona come dovrebbe o che si sta per rompere, pensò Stefano da dietro il vetro.

L’ora delle visite, se di visita si potesse parlare, era quasi terminata e fu in quel momento che Stefano si accorse che la sua similitudine si stava realizzando. Sul monitor che registrava le funzioni cardiache e pressorie dell’amico, due lucine rosse avevano iniziato a lampeggiare, un infermiere era corso a controllare, aveva manovrato con i rubinetti che erogavano sostanze nelle vene dell’amico e tutto era rientrato.

Dopo un po’ l’infermiere in casacca verde era uscito dalla porta e aveva avvisato che il momento delle visite era terminato. Rientrando poggiò una mano sulla spalla di Stefano e andò via senza dire niente.

Perché non c’era niente da dire.

Stefano guardò un ultima volta il corpo del suo amico, che sembrava morto. Forse era un addio ma forse no, chi poteva saperlo.

Finché le lucine sono verdi, va tutto bene, si disse Stefano e non sapendo se sorridere o piangere, andò semplicemente via.






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