La prima volta che
sentii Paolo cantare fu alla festa di Natale dell’azienda, un anno fa.
Me lo trovai di fianco
per caso, e fu una sorpresa.
Era con noi da poco e
aveva una voce meravigliosa.
Credetemi, io canto da
una vita, cori parrocchiali e karaoke ma anche in una corale di gospel e di
voci ne ho sentite, ma Paolo aveva un timbro incredibile e un’intonazione rara.
Alla festa che era seguita,
mi avvicinai e glielo dissi. Lui sorrise imbarazzato e non sapendo cosa
rispondere si allontanò. Paolo lo vedevo quasi tutti i giorni, alla sua
scrivania, sempre serio e concentrato sul lavoro, ordinato e composto, con i capelli
a spazzola e senza un’ombra di barba, sempre perfetto.
Era difficile entrare
in comunicazione con Paolo, troppo timido, troppo chiuso. Si limitava allo
stretto necessario, usava modi cortesi e educati per le comunicazioni di lavoro
e i saluti. È sempre stato molto gentile e piacevole ma non era uno che trovavi
alla macchinetta del caffè a chiacchierare di calcio o di auto con gli altri
colleghi, il lunedì mattina.
Intuivo che c’era
qualcosa che nascondeva e non ci avrebbe mai raccontato.
Ma noi donne sappiamo
essere caparbie, quando vogliamo.
Dopo diversi tentativi
e approcci per approfondire quello che era un asettico rapporto di lavoro,
tutti inevitabilmente andati a vuoto, mi ero convinta di lasciar stare, cosa m’importava
di quell’uomo, se era lui a non aver piacere ad aprirsi e a confidarsi con i
suoi colleghi d’ufficio, allora che se ne restasse nel suo mondo.
Mi ero immaginata che
fosse un tipo ossessivo, con una personalità immatura, incapace di accettare un
contatto umano o di provare empatia verso le altre persone, una specie di
maniaco che forse viveva ancora con gli anziani genitori e si lasciava trattare
come un adolescente.
Poi questa primavera,
al compleanno del capo, ordinammo una mega torta e cantammo il classico
motivetto di auguri. Mi piazzai davanti a Paolo e le mie orecchie furono
nuovamente deliziate da quella voce meravigliosa. Due ottave più alta della
media maschile, leggermente roca e dolcissima, mi ricordò quella di Freddie
Mercury!
Mi voltai e gli chiesi:
Tu sei un cantante?
Lui si schernì e mi
rispose arrossendo: No, no, canto solo in queste occasioni.
Fu la frase più lunga che
mi aveva detto in sei mesi.
In quel preciso momento
decisi che dovevo scoprire cosa nascondeva Paolo a noi colleghi. Sapevo che non
erano fatti nostri, fatti miei. Ma la curiosità era tanta e quel giovane così
taciturno e riservato era tanto misterioso quanto intrigante.
Certo che doveva essere
un abitudinario di quelli tosti. Mai un ritardo al mattino, mai una volta che
si fermasse alla fine del turno. Inforcava il suo scooter e spariva nella sua
nebulosa vita per poi riapparire il mattino dopo puntuale come un orologio a
cucù svizzero. Avevo deciso di seguirlo e quella sera presi anch’io il
motorino, un cinquantino sgangherato della mia amica Silvia, con l’auto sarebbe
stato impossibile stargli dietro. Paolo abitava a pochi chilometri, in un
quartiere chiassoso, pieno di negozietti di souvenir e mercatini, pieno di
chiasso e pedoni. Tutto molto pittoresco, i vicoli stretti, affollati da gente
rumorosa e con le piante rampicanti che scendevano dai balconi.
Paolo entrò in un portone
lasciato aperto e sparì alla vista. Spensi in mio catorcio e lo appoggiai a un
muro scrostato. Non avevo un piano. Cosa mi ero messa in testa di fare non lo
sapevo nemmeno io. Decisi che quei vicoli mi piacevano e ne avrei approfittato
per cenare con un bel gelato doppio in barba a tutte le diete. Avrei aspettato
di vedere se Paolo fosse uscito e in caso negativo me ne sarei tornata a casa.
Finito il gelato,
bighellonai per quelle stradine, comprai un paio di braccialetti di legno, fui
approcciata da due giovani ma se ne andarono presto con le braccia sulle spalle
a tenerli uniti.
Quella zona mi metteva
di buon umore, non sapevo perché. Mentre tornavo verso il motorino, vidi lo
scooter di Paolo che usciva dal portone. Per poco non me lo persi, riuscii a
mettere in moto, pedalando come una forsennata e a stargli dietro senza farmi
vedere. Il sole era calato e la città aveva acceso le sue luci. Lampioni che si
rincorrevano veloci, saracinesche di negozi che calavano, insegne luminose che
proiettavano luce sui viali. Paolo rallentò e parcheggiò lo scooter, il
traffico era intenso e riuscii a vedere dove era entrato, La porticina di legno
fiancheggiava un disco pub dall’insegna sgargiante. Musica dal vivo, diceva la
scritta in vetrina.
Fui sul punto di
andarmene ma alla fine decisi di entrare.
Poca gente ai tavolini,
un cameriere dagli occhi verdi e i modi molto effemminati si avvicinò e mi
chiese: Che cosa bevi, amore?
Sorrisi a quella
confidenza, chiesi una birra leggera e mi sedetti.
Dopo mezz’ora i tavoli
erano affollati, l’atmosfera era festosa e le luci basse.
Si accese un riflettore
che illuminò un palco e il cameriere di prima annunciò con orgoglio l’uscita di
Pandora, la queen con la voce più bella della città.
Da una tenda rossa uscì
un’artista stupenda. Con un vestito nero e lucido che fasciava i fianchi
stretti, da cui scaturivano due sbuffi di tulle nero a coprire le spalle e che si
apriva verso il basso in una larga gonna a pieghe che toccava il pavimento e si
allungava dietro in un breve strascico, mostrava il suo magnifico volto una
bellissima creatura che sfoggiò il suo sorriso perfetto, arricchito da un
rossetto importante e da un trucco deciso. La parrucca di capelli corvini sfoggiava
un’acconciatura complessa fatta di trecce legate in alto da un fiocco. Quell’apparizione,
sul piccolo palco, manifestò una bellezza fuori dal comune e una sensualità
irresistibile. Attirò da ogni lato applausi, fischi e grida di apprezzamento e
quando finalmente gli applausi terminarono partì la base musicale e iniziò il
canto.
Ogni sguardo in quel
locale, compreso il mio, era concentrato sulla cantante, ogni orecchio
deliziato, ogni cuore infranto.
Pandora terminò la sua
performance improvvisando un duetto col pubblico, pieno di energia e
provocazione e i presenti non si fecero pregare. Li aveva rapiti e conquistati
tutti.
Quella voce era
qualcosa di straordinario.
Ed io la conoscevo.
Tornai a casa col motorino
della mia amica ma quella notte dormii poco.
Come avrei fatto a dire
a Paolo che conoscevo il suo segreto?
Per giorni lo osservai,
alla sua scrivania, senza avere il coraggio di salutarlo, pensavo che non fosse
giusto intromettermi così nella sua vita privata.
Poi, un bel giorno, fu
lui che venne da me.
Mi sentii imbarazzata e
confusa. Gli chiesi come potevo aiutarlo.
Mi sorrise e mi
rispose:
Mi ha fatto felice
vederti al pub. Davvero. Mi chiedevo se ti sia gradito lo spettacolo, se
tornerai e se ti sia piaciuta Pandora.
Arrossii e ammirai il
suo coraggio. Non doveva essere facile per lui.
Decisi di arrendermi e
di essere sincera.
Sì, lo spettacolo mi è
piaciuto ma Pandora no…
Paolo mi guardò perplesso.
La verità è che mi sono
innamorata di Pandora!
Allora sorrise e fu il
primo sorriso in poco più di un anno che eravamo colleghi.
Nessun commento:
Posta un commento