Tutto era cominciato
per caso.
Nemmeno lui ci credeva,
ma qualcosa stava accadendo.
Enrico era sempre stato
un uomo pratico, concreto, non credeva a baggianate come il malocchio, la
sfortuna, le stregonerie. Molto semplicemente le cose accadevano e i creduloni
attribuivano la causa degli eventi a qualche potere oscuro, per debolezza e
ignoranza. Lui non era certo il tipo da farsi impressionare da un gatto nero
che attraversava la strada o dal passare sotto una scala. Al massimo era in
apprensione per il gatto e controllava che sulla scala non ci fosse un operaio incapace,
che potesse rovesciargli in testa un carico di attrezzi pesanti!
E quando tutto era
iniziato, ovviamente Enrico non ci aveva fatto caso.
Piccole cose, senza
importanza, il collega presuntuoso, che gli aveva soffiato un affare,
aveva perso la sua stilografica Montblanc, alla sua vicina che stendeva la
biancheria ancora gocciolante al piano di sopra, si erano spezzate le corde e
tutto era finito nel fango del cortile, Enrico non coglieva nessun
collegamento. Qualcuno ha le mani lunghe in ufficio e una Montblanc fa gola, in
quanto alle corde da bucato, erano vecchie e da cambiare.
Poi era successo il
fatto del tipo in palestra. Un bestione di cento chili, lo aveva preso in odio,
senza motivo pensava Enrico, ma chissà perché quando la sera lo incrociava, l’energumeno
faceva sempre in modo di passargli davanti, alla macchina per gli addominali,
alla doccia, lasciandogli respirare il suo puzzo. A Enrico la cosa iniziava a
dare fastidio ma non avrebbe potuto far ragionare quel bestione senza rischiare
l’osso del collo. Non ne poteva più quando una sera un bilanciere carico di
pesi, si era staccato dalla staffa ed era caduto sul braccio del gigante,
fratturandogli radio e ulna e lussandogli il gomito. L’uomo si era messo a
gridare come un bambino per il dolore insopportabile e quando i barellieri lo
avevano finalmente portato via, aveva guardato Enrico con la faccia bagnata
dalle lacrime e un’espressione fanciullesca di paura.
Una sera, stava
attraversando il viale, quando un’auto proveniente dalle sue spalle aveva
svoltato all’improvviso, frenando quando era a mezzo metro dalle sue gambe.
Enrico si era paralizzato come avrebbe fatto un leprotto colpito dai fari in
mezzo alla careggiata. Gli era scappato un verso strano e un’oscenità, poi
aveva accettato le scuse un po’ fasulle dell’autista imprudente e si era
rimesso in cammino. L’auto, una potente berlina bianca era ripartita, facendo
stridere le gomme. Erano passati forse cinque secondi quando Enrico aveva
sentito uno schianto secco, era tornato sui suoi passi e aveva osservato l’auto
bianca accartocciata contro un platano. Il conducente era sceso, aveva fatto
due passi tenendosi la fronte e si era seduto per terra. Vedendo i primi
curiosi avvicinarsi al luogo dell’incidente, Enrico aveva preferito tenersi
alla larga.
Enrico era sempre stato
un uomo razionale, certo, ma dopo una serie di eventi quantomeno bizzarri,
aveva cominciato a ragionare diversamente.
E se fosse stato
davvero lui a causare quelle cose? Se avesse fatto partire una qualche specie d’influsso?
Un fascio di radiazione negativa, in grado di agire sulla materia,
modificandola? Se fosse stato in grado di modificare gli atomi degli oggetti, alterare
il pensiero e la volontà delle persone?
Ma che diavolo stava
pensando?
Niente di tutto ciò era
possibile e si sentì mortificato e si vergognò di se stesso per averlo creduto.
Non era da lui, si
disse, nessuno aveva questo potere, al massimo nei film.
E lui non era un
attore.
Nessuno lo avrebbe
scritturato per qualche parte, nemmeno come controfigura, pensò mentre
osservava la sua faccia riflessa allo specchio e si contava le nuove rughe. Da
qualche tempo aveva delle profonde occhiaie e sembrava invecchiato di dieci
anni. Si sentiva vecchio e un peso sull’anima gli impediva di sentirsi felice.
Per qualche tempo non
successe altro, poi ci fu il dramma.
Enrico aveva avuto una
fidanzata storica, un rapporto logoro che si era prolungato per nove anni e si era
trascinato tra alti e bassi. Lena non era una ragazzina e qualche volta gli
accennava che avrebbero potuto cambiare vita, stabilizzare la loro unione ma lui
non ne aveva avuta la minima intenzione. Lei lo aveva piantato una gelida sera
d’inverno, quando il freddo attorno sembrava una mite primavera in confronto al
freddo che aveva dentro.
Enrico sperò che lei
soffrisse e che la pagasse per il dolore che lui aveva provato ma quando, dopo
una settimana morì la madre della giovane, si rese conto che non avrebbe avuto
il coraggio nemmeno di guardarla in faccia. Non andò al funerale, sebbene quella
donna gli avesse voluto bene, forse più di sua figlia.
Enrico capì di avere
scavato un solco troppo profondo tra lui e la sua ex e niente avrebbe riempito
quella distanza.
Con i suoi rancori si
stava rovinando la vita. Capiva che le cose sarebbero continuate a succedere,
anche quelle più negative ma sapeva che avrebbe dovuto smettere di desiderare
il male.
E doveva smettere di
vivere tutto come una colpa.
Andò in ospedale a
trovare il tipo della palestra. Lo avevano operato e qualcosa non andava per il
verso giusto, così stava prolungando la degenza tra antibiotici ed esami.
Accettò con sorpresa e gratitudine i biscotti che Enrico gli aveva portato e si
rivelò una persona timida e riservata che si nascondeva dietro i muscoli.
Enrico gli augurò di rivedersi presto in palestra. Era sincero.
Poi comprò un vaso di
mughetti per la vicina. Questa lo guardò con sospetto, poi accettò il dono e
gli disse che l’avrebbe messo sul balcone, aveva anche colto l’occasione per
scusarsi di far gocciolare la biancheria. Enrico sorrise e tornò a casa
sentendosi più leggero. Anche la sua espressione era migliorata, le occhiaie
stavano sparendo e sembrava più giovane.
Non avrebbe preteso di
farsi perdonare da Lena ma iniziò ad andare al cimitero tutte le settimane a
posare dei fiori freschi.
Enrico aveva capito che
prima di perdonare gli altri, prima ancora di domandare il loro perdono, doveva
imparare a perdonare se stesso.
Non avrebbe più
coltivato pensieri di vendetta o negativi, verso nessuno.
Gli eventi, belli o brutti,
insignificanti o importanti, avrebbero continuato ad accadere ma lui non si
sarebbe sentito responsabile, decise che avrebbe iniziato a sperare solo cose
positive e gradevoli.
Se qualcosa di buono
fosse accaduto, sarebbe stato piacevole credere di esserne stato la fonte
inspiratrice, no?
A chiunque avesse
incontrato, pensò Enrico, sorridendo.
E il peso che aveva
avuto, senza che se ne accorgesse, svanì.
Nessun commento:
Posta un commento