Anche se oggi fa molto
caldo, vado a correre.
E’ una giornata troppo
bella per sprecarla sul divano del soggiorno.
Il percorso è il
solito, la pista ciclabile accanto al parco, un nastro di asfalto lungo quasi
tre chilometri da consumare avanti e indietro quante volte si vuole (o quante
volte il fiato e le gambe lo permettono).
Attraverso il viale, mi
lascio alle spalle la città, mi appresto a percorrere la lieve salita che porta
alla pista quando un tipo, con l’aria del runner, stanco e sudato mi si
avvicina e mi dice qualcosa. Vedo che sorride.
Accosto, tolgo le
cuffiette dall’orecchio destro e lui mi ripete:
-
Non c’è una fontana da queste parti?
Sorrido a mia volta, mi
giro e indico un punto alle mie spalle.
-
Lì c’è una fontana ma sono mesi che è
stata chiusa, danneggiata dai vandali.
Mi guarda rammaricato e
fa spallucce.
-
Pazienza, scusa per l’interruzione,
ciao.
Ma ho già infilato la
cuffietta nell’orecchio. Lo saluto con un cenno della mano, mi giro e riprendo
il mio ritmo.
Aveva una faccia strana
quel tipo, gli occhi vagamente spiritati ma sarà stato l’effetto
dell’adrenalina. Dopotutto noi sportivi siamo tutti un poco strani nella trance
agonistica.
Mentre corro, mi
vengono in mente due curiosità. Il tipo aveva il mio stesso taglio di capelli,
più che taglio una massa informe, una zazzera di ricci che mi ostino a lasciare
lunghi come fossi un ragazzino. Inoltre aveva la stessa maglietta sportiva di
un turchese violento, comprata in un centro commerciale più che popolare.
Solo nella nostra
provincia ce l’avranno in diecimila…
Inoltre il tizio
assetato aveva le braccia sporche, coperte da polvere biancastra, come se
facesse il fornaio e aveva un’altra cosa curiosa che sul momento mi è sfuggita.
Continuo a correre.
Presto il caldo e la fatica m’impediscono di pensare.
C’è solo strada da
bruciare e sole da cui essere bruciati.
Al secondo chilometro
sotto il sole, il calore si fa insopportabile. Ho l’impressione che anche le
suole di gomma, al contatto col cemento bollente, si stiano surriscaldando.
Avrei dovuto bagnare la
testa, penso…
Comincio ad avere anche
le allucinazioni. Vedo una macchia scura immobile al centro della pista.
Sapete, quando corro
non porto gli occhiali e spesso dimentico di indossare le lenti per la miopia.
Comunque la macchia
scura e immobile non è un cane o un cumulo di stracci come mi erano sembrati a
tutta prima.
Si tratta di un uomo.
Un vecchio buttato per
terra e la sua bicicletta poco più indietro.
Il cuore mi prende a
calci dal centro del torace.
Penso, è stato male. Si
è sentito male per il caldo. Le gambe mi tremano per l’emozione ma mi portano
vicino al vecchio.
Devo fare qualcosa.
Oddio, che spettacolo
orrendo!
Il pensionato è steso
sulla schiena con gli occhi aperti.
Sembra che stia
osservando il cielo allo zenith.
Chissà se vede le
nuvole o se a quest’ora è già arrivato sopra quelle nuvole. A me sembra giusta
la seconda ipotesi.
Ha una zona incavata al
centro della fronte, sporca e bluastra e sotto la nuca si sta allargando una
pozzanghera purpurea. Attorno al corpo polvere bianca come farina.
Gli do un calcetto con
la punta del piede ma è inutile, gli occhi chiari e opachi non perdono il contatto con
il cielo.
E’ proprio morto. Le
mani mi tremano mentre cerco di sfilare il cellulare dalla tasca dei
pantaloncini. S’impiglia il cavetto delle cuffie, mi cade il telefono nella
pozza di sangue. Non è il momento di fare lo schizzinoso.
Con le dita appiccicose
e tremanti compongo il 112 e mi ascolto dire:
-
C’è un vecchio morto sulla ciclabile.
Poi l’operatore in
linea mi dà le opportune istruzioni e mi tranquillizza.
Riesco a rispondere
alle domande con calma e la comunicazione è presto chiusa.
Sotto la bici del
vecchio c’è una copia di un quotidiano. Lui indossa pantaloni ascellari, mi
ricorda un po’ Fantozzi, poi penso che questo poveraccio, Fantozzi, non lo vedrà
mai più.
Cinque minuti sembrano
eterni.
Non penso più al sole,
alla corsa, il respiro si è calmato, il battito ha rallentato la sua frequenza.
Non riesco a staccare
gli occhi dal vecchio.
Chissà se aveva
qualcuno a casa ad aspettarlo. Soprattutto chissà com’è morto.
Il segno sulla fronte è
strano, non mi torna. Sembra più un colpo, una sassata che una caduta dalla
bici. Ma non sono affari che mi riguardano.
Arriva tutto un circo, un’ambulanza
che non so a che serva visto che il morto è ormai morto, due pattuglie di
carabinieri, un maresciallo comincia a scattare foto, un barelliere mi chiede
se sto bene.
Sono confuso, stanco e
assetato. Chiedo se posso andare a casa. Mi rispondono di no, per il momento
non è possibile, si deve aspettare il giudice.
Qualcuno ha messo un
lenzuolo bianco sul vecchio e mi chiedo come farà adesso che non può più
guardare le sue nuvole.
Il giudice arriva,
sembra un ragazzino di nemmeno trent’anni.
Ha la voce stridula,
insopportabile.
Dice che devono
trasferirmi da qualche parte, penso per il verbale.
Poi il maresciallo gli
si avvicina all’orecchio e sussurra qualcosa indicando le case popolari che in
linea d’aria saranno a meno di cinquanta metri.
Chiedo di nuovo se
posso andare e il giudice ragazzino mi guarda malissimo. Chiede se conosco il morto.
Poi manda due
carabinieri verso la casa popolare, pare che nel palazzo ci siano testimoni oculari dell’accaduto.
Accaduto, già ma cosa è
accaduto, mi chiedo.
Mi guardo le scarpe, le
mie leggere e tecnologiche scarpe da running.
Hanno le suole
macchiate di rosso.
Poi mi torna in mente
la stortura che avevo percepito poco prima.
Il tizio, il runner che
mi chiedeva della fontana, quello con lo sguardo alterato e la maglietta
identica alla mia, calzava delle scarpe pesanti, da lavoro.
Un carabiniere di
quelli che hanno sentito i testimoni finalmente torna.
Si avvicina e mi chiede
gentilmente di salire in auto.
Non sta sorridendo.
Mi sa che per un po’
non correrò.
Sono fregato.
Nessun commento:
Posta un commento