domenica 18 marzo 2018

Ricomincio dai piedi














Utilizzo, quando devo recarmi in città, la metropolitana.

La trovo un mezzo comodo, pratico e veloce.



Scelgo di salire al capolinea nonostante possa raggiungere la seconda o la terza fermata, a me più vicine, per il semplice motivo che al capolinea i vagoni sono vuoti e ci si può sedere.



Vi è mai capitato di osservare le persone che condividono un breve viaggio con voi? Sono uguali a quelle che incrociate nell’imbarazzante chiuso di un ascensore o che spingete al centro sudato di una folla.

Tutta gente che non avete mai visto e che difficilmente rivedrete. Tutta gente che non ha nessuna voglia di comunicare con voi.



Mi è successo giusto la settimana scorsa.

Teniamo conto anche del sonno, giacché non sono ancora le otto, e che a peggiorare le cose è anche lunedì, motivi che rendono comprensibile e condivisibile la poca voglia di socializzare!



Cosa fare dunque, quando si condividono pochi metri quadrati con tale fauna?

È semplice, si tiene lo sguardo basso.

E in silenzio si osserva.



C'è la studentessa che indossa un paio di sneakers a collo alto, di stoffa nera, lise di vita vissuta, tempestate di borchie.

Di fronte a me siede una donna “in carriera” con un paio di Oxford scure con le stringhe di cuoio, molto eleganti, molto inglesi, molto androgine.

Di fianco un uomo con un paio di mocassini di pelle, di un marrone inguardabile, peggiorato dal terribile abbinamento col verde oliva dei pantaloni.

Entra, svolazzando leggera, una signorina sulle sue Mary Jane a tacco medio, deliziose décolleté con cinturino di colore panna. Molto eleganti.

Due ragazzi, poco distanti, indossano le immancabili sportive, tipo Air Jordan, vistose e colorate, sembrano furgoni coi catarifrangenti, tanto costose quanto variopinte.

Alla mia destra un uomo con un polacchino scamosciato blu scuro, di sicuro comodo, caldo e informale.

Basta osservare ciò che calziamo per capire quanto siamo diversi e unici.



Diversi e unici, dicevo. Sì ma fintanto che tengo lo sguardo basso.

Perché preso da questa mia mania dell’osservare e del capire cose e persone che mi circondano, a un certo punto decido di alzare quello sguardo e mi trovo a osservare uno spettacolo desolante.



Tutti ma proprio tutti, hanno il viso illuminato dallo schermo del proprio telefonino.

Indipendentemente da età, sesso, condizione sociale o professione.



Muti e diafani fantasmi dalla faccia pallida e gli occhi febbrili rapiti dalla propria, privata, realtà virtuale.

Silenziosi zombies, affamati di bites, assestati di download.

Vuoti spettri anaffettivi, dalle agili dita, attirati da una vita virtuale come gli squali dal sangue.



Mi vengono i brividi.

Tutti uguali.

Stessa espressione, stesso assordante frenetico ticchettio.



Mi sento straniero in terra straniera.



Così, per ritrovare quella ricchezza, quella diversità, quell’unicità che avvertivo poco prima, sono costretto ad abbassare nuovamente lo sguardo.



Ricomincerò dai piedi.



Chissà se troverò la marziale robustezza degli anfibi, un gagliardo paio di Bikers Boots oppure un bellissimo, intarsiato, paio di stivali Texani?














Nessun commento:

Posta un commento