venerdì 23 giugno 2017

Spara o muori









Mi piace molto correre.
Lo faccio ogni volta che ho tempo libero da spendere.
Corro anche quando non dovrei. Quando mi fa male il ginocchio, per esempio, oppure quando alle nove del mattino ci sono già trentacinque gradi.
Non so se i trentacinque gradi sono all’ombra, in ogni caso ombra sulla ciclabile ce n’è poca…
Stamattina sono stato imprudente, lo ammetto. Ho bevuto mezzo bicchiere d’acqua, ho fatto una colazione troppo leggera, insomma dopo un paio di chilometri mi sentivo già stanco e disidratato.
Ma noi sportivi, noi uomini veri, non lasciamo mica che queste piccolezze ci tarpino le ali?
Insomma, stringo i denti, alzo il mento e allungo la falcata, fino a quel momento tremolante e incerta.
La pista ciclabile è circondata da cespugli e vegetazione incolta, riflette la luce di un sole implacabile che vi farebbe sudare, anche se foste immobili.
L’aria che entra dal naso e dalla gola è rovente e gratta come sabbia, la luce si specchia sul suolo e mi costringe a socchiudere gli occhi già irritati dal sudore che scende copioso dalla fronte, dalle tempie, da ovunque…
Oggi sono cotto, forse non era il caso di mettersi a fare lo sportivo ma ormai sono qui.
In effetti, in quasi venti minuti non ho incontrato nessuno, di solito incrocio ciclisti, cani a passeggio con relativi proprietari, altri runner, oggi non c’è anima viva.
Tranne uno laggiù, in mezzo alla pista.
Sembra un uomo che cammina al centro della ciclabile, non sembra un corridore. E’ ancora distante più di duecento metri ma lo vedo chiaramente venire verso di me camminando giusto in mezzo della strada.
Mentre mi avvicino, capisco perché non mi sembrava uno sportivo.
L’uomo è vestito con pantaloni scuri, un gilè chiaro sopra la camicia, e qualcosa sulle spalle, sembra una coperta militare. Poi come se non bastasse sulla testa, ha calato un dannato cappello da mandriano, che mi venisse un colpo, ma che diavolo ci fa quel cretino vestito da cow boy sulla ciclabile a quasi quaranta gradi.
La mia corsa rallenta, non riesco a credere ai miei occhi feriti.
Ora siamo distanti meno di cento metri e gli vedo la faccia.
Qualcosa di scuro gli penzola fuori dalla bocca, potrebbe essere un sigaro.
Ma cos’è uno scherzo? Forse stanno girando un film, quello è solo una comparsa che si fa due passi, sì, ma io che faccio? Gli passo a fianco come niente fosse? Lo saluto o magari tiro dritto… intanto ho smesso di correre, sono troppo sbalordito e stanco, quasi trascino i piedi e respiro a fatica, anzi sembro un mantice.
Devo essere allucinato, il sole mi ha dato alla testa.
Ora siamo a una cinquantina di metri.
L’uomo si è fermato e mi fissa, i suoi occhi sono due fessure da cui non sfugge alcun sentimento.
Io mi dico che devo essere impazzito.
Sono fermo al centro della ciclabile e sto fissando Clint Eastwood!

C’è Clint Eastwood fermo al centro del vialetto, con la faccia dell’assassino che si prepara al duello.
Infatti, sputa il sigaro al suolo e si scosta la coperta lasciando libero il fianco da cui brilla il calcio di una pistola enorme.
Probabilmente una Colt 45 a tamburo.
La lunga fondina è legata alla coscia con un laccio di cuoio.
Le mie braccia penzolano lungo i fianchi, sono disarmato, incredulo, spossato.
Al pistolero non sembra interessare questo particolare.
Con un movimento troppo veloce perché i miei occhi pieni di sudore possano percepirlo Clint Eastwood, perché ormai sono certo che si tratti di lui, ringiovanito al periodo della collaborazione con Sergio Leone, tira fuori la colt e mi spara al petto.
Non ho nemmeno il tempo per morire bene, penso, ma il proiettile non mi uccide perché provo solo un gran dolore diffondersi sotto lo sterno e resto in piedi.
Allora Eastwood si avvicina velocemente e spara altre due volte sempre mirando al torace.
Mi sembra di avere preso in pieno un camion a tutta velocità, l’aria esce dai polmoni facendomi fare un verso abbastanza ridicolo, il dolore è insopportabile e mi chiedo perché sto li, ancora in piedi, a godermi la scena.
Poi la stanchezza, più che i proiettili, mi convince a sedermi a terra e poi a sdraiarmi.
Da questa posizione posso vedere bene il cielo azzurro e le nuvole bianche come fosse un quadro. Il sole alle spalle continua ad arroventare il tutto.
Finché nel quadro non appare la faccia bonaria di Clint, che si avvicina, sento nel suo alito caldo l’odore del sigaro, e mi dice: “Oggi è la tua giornata fortunata”.
Poi appoggia la canna della colt al mio petto e spara. Il dolore è atroce.

Non capisco, dovrei essere ben morto a quest’ora.
Clint Eastwood è ancora chino su di me, sembra guardarsi attorno.
Poi urla: LIBERA!
Poi spara un ultima volta.
Tutto è confuso da quel momento, c’è chi mi spinge, chi mi tira, sento tante voci.
Poi mi caricano su un mezzo dal motore acceso e l’ultima cosa che guardo, prima di chiudere gli occhi e riposare, è quello sguardo a fessura, quello sguardo che non trapelava sentimenti, la faccia di quell’uomo.
Solo che non è più Clint Eastwood ma un infermiere che mi ha salvato la vita.






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