mercoledì 7 gennaio 2015

Lo spirito nel pallone



Oggi siamo circondati dallo sfarzo. Nonostante la crisi economica, la cultura dell'apparire non sa (e non vuole) rinunciare allo sfarzo.
Dalle vetrine di alta moda alle auto parcheggiate davanti ai negozi, tutto ci parla del lusso.
Le trasmissioni in onda confermano agli spettatori che se si vuole contare qualcosa è necessario vestire con gusto, avere al polso un orologio costoso e prestigioso, occhiali firmati e così via...
Il mondo del calcio non fa molta differenza. Le squadre, blasonate o meno, vincenti o no, scendono in campo seguendo un complesso rituale che simula quasi una sfilata di moda, sfoggiando completi sportivi costosi quanto un abito da cerimonia, i giocatori si fanno accompagnare per mano da bimbi, piccoli paggetti, agghindati e vestiti come i loro idoli. Non solo, maglie ufficiali sono affiancate da seconde divise, tute di rappresentanza, giacche ufficiali abbellite da colori sociali e fantasie sempre più sgargianti, sempre più improponibili...
Ma che c'è di male, si obietterà, anche le squadre di calcio (come di altri sport) sono perfettamente integrate nel tempo e nel mondo contemporaneo.
Il mio ricordo va lontano, quando il calcio lo guardavo in bianco e nero e non c'erano tanti sponsor (nè tanti soldi), quando pur di giocare si organizzavano improbabili tornei da cortile, con squadre sbilanciate fatte dai più grandi che ci tenevano a fare bella figura e non ci stavano a perdere, i portoni fungevano da porte e il fallo laterale era il muro del palazzo confinante.
La palla non era affatto regolamentare, al contrario poteva essere una piccola palla da spiaggia della sorella di qualcuno, un pallone di spugna (il preferito dai condomini per la sua silenziosa leggerezza), qualsiasi cosa insomma che potesse rotolare...
La mia gioia quando giocavo bene, quando calciavo bene e riuscivo a ingannare il portiere avversario e a marcare un gol era infinita e nella corsa gioiosa che seguiva non vi era nessuna differenza con la corsa di un professionista che segna un gol in una partita ufficiale.
Il gol, la sensazione di portare in vantaggio la propria squadra, il brivido che percorre e attraversa il corpo partendo dai piedi era una sensazione senza tempo, era lo spirito del calcio.
E non avevamo bisogno di divise sgargianti o di scarpe sfarzose per provarlo.

Di recente una persona a me molto cara, mi ha confidato di non avere più l'inclinazione a partecipare alla vita di chiesa, in compagnia della quale era cresciuta, perchè non condivide lo sfarzo che viene ostentato tra i celebranti, vescovi e cardinali in testa.

Allora mi chiedo se sia utile preoccuparsi dello sfarzo che appare o ci si debba occupare e soffermare invece, più utilmente, sullo spirito non apparente dietro alla funzione?
Se sia giusto che per rinunciare a sopportare uno sfarzo inutile e vanesio non si finisca anche per perdere il brivido che solo la ricerca dell'essenziale, della verità che si trova nel cuore delle cose, può dare?
Costringersi così a privarsi della possibilità che tutti abbiamo di vivere la nostra religiosità in modo spontaneo e sereno, insomma in bianco e nero, senza sfarzo.
Penso valga la pena almeno rifletterci.








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